Pègaso - anno II - n. 4 - aprile 1930
Le"tiera a Pawl Valéry 373 p'iccola terra una parte, avresti detto, del sistema celeste e ci conso– lavano della nostra piccolezza con lo spettacolo d'un'intelligenza lumi– nosa e onnipresente, ora si chiudono per onestà dentro la siepe del loro giardino e, per quanti fiori alla fine ci offrano, ci lasciano sempre insod– disfatti e umiliati dalla nostra inguaribile miopia. « Mai, je rne trouve dans la philosophie convme un barbare dans une Athènes où il sait bien que des objets très précieuro l'environnent et que (out ce qu'il voit est respectable; mais au sein de laquelle il se trouble, il éprouve de l'ennui, ·de la gene et une vague vénération, melée d'une crainte superstitieuse, · traversée de quelques envies brittales de tout rompre oit de mettre le feu à tant de rnerveilles mystérieuses dont il ne se sent point le rnodèle dans· l'arne. >> Parole vostre. Poi nella prefazione su Leonardo, diventato più accomodevole, accogliete sotto certe condizioni i venerabili monu– menti della filosofia, o almeno della metafisica, dentro la reggia della letteratura, iscrivendoli nell'ordine sovrano della poesia astratta. In– somma per voi la filos-0fia o è poesia o sarebbe soltanto una ginnastiç_a della mente alla ricerca della sua unità, un amor sapientiae più o meno ansioso, un gioco di miti più o meno ordinato, una speranza di felicità in quell'irraggiungibile pace dell'unità. Giacomo Leopa-rdi è stato più reciso quando nel Dialogo di Timandfo e di Eleandro ha dichiarato : « Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla ifilosofia vera e perfetta, si è che non bisogna filosofare.>> Né -ancora dopo più di cent'anni i filosofi gliel'hanno perdonato. Non ho nominato Leopardi invano e, come dite voi, je vais divaguer sérieusernent. La lettura del così detto Zibaldone è, caro Valéry, la sola oggi da paragonare alla lettura delle vostre prose. L'una e l'altra m'esal– tano con la loro esattezza e acutezza, e insieme mi riposano con la loro varietà. Quel continuo passare dalla morale alla filologia, dalle confi– denze alla storia, dall'aneddoto alle idee generali, da un problema ur– gente a- un problema immaginario, dalla mitezza all'ironia, dal dubi– tare all'asserire, m'ammaestra, mi conforta e mi riscalda come la pre– senza stessa dell'uomo, mobile, vivo e ragionante, se non sempre ragio– nevole, del quale il primo desiderio è capire e pel quale l'attenzione è sempre un'attesa.• Non saprei offrire a voi maestro di dialettica una lode maggiore di questo paragone, anche se al vostro registro manchino due note : amore e dolore. Io qui, s'intende, parlo soltanto delle vostre prose. JJ pense, sur le bord doré de l'univers, A ce gofit de périr qui prend la Pytbonis.se E!I, qui mugit l'espoir que le monde finisse. Saranno i tempi più ferrei ed asciutti; sarà il vostro ritegno a mo– strarvi al pubblico nello stato febbrile, e a rivelarci altro che il vostro intelletto; sarà che anche in arte oggi s'incontra una cèrta divisione del lavoro e chi ti vuole commuovere o meravigliare non ha nessuna in– tenzione di perder tempo a fartf pensare ; sarà che il Leopardi quelle pagine le scriveva per sé e voi le scrivete anchè per noi: il fatto è che in questi desideratissimi libri voi ci apparite tutto cervello, al più occhi, orecchi e cervello. Ora, per quanto poco pesi il vostro corpo, certo BibliotecaGino Bianco
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