Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
Ulisse e i Ciclopi 259 che mi si parò davam.ti , avresti detto che no111m.aaigiassero da due settimaID.e. Questi sporcaocioni (scusate il termine), s'erano instal– lati nella spelonca, senza dire né UID.O né due, come fossero a casa loro. Av,rebbell'Opotuto paissare prima alla vi1110,, mi pare, e, se ave– Wllll.O fame, chiedere qualcosa a mia madre: abbiamo sempre u111 po' di minestra pei meindicanti. Invece alcuni di loro, strillando come Ìlllvasati dal demonio, avevamo sfondato un otre pieno di fre– schissimo latte, e schiamazzando gli si affollavamo intorno, spar– gendone la più parte per terra. Altri, colla pancia all'aria, scola– VMJ.ogli orci di vin santo fino all'ultima goccia, reggendoli Ìlll alto per le anse, arrovesciam.do la testa all'indietro. Dimooavam.o i piedi per la delizia. Il vino gli correva, lordandoli, per la barba e pel mento, sui petti magri ed irsuti. - Pkati ! - esclMO.ò Nèrito, sdegniato. A,mava il vino e 1110111 poteva sopportare di udirlo sprecato cosi. Gli pareva dli vedere i rivoli rossi, traboccando dal gozzo dei ladri, scorrere per terra tra le forme di eacio ed il capelvenere. Era come samgue perduto dalle sue veine. __;_Bisognerebbe ripulire la terra da questi vagabondi! - esclamò, infervorandosi : - bisognerebbe affogarli, mettergli una pietra al collo, come si fa coi cùccioli dei nostri cani, quandlo 111e nasco1110troppi, buttarlli in mare, tenerli sotto, bruciare le loro barche sulla spiaggi 1 a, se hamno barclie, oppure bruciar loro, addi– rittura, perché no?, alzare u111 bel falò di rami di pino, che •ardono bellle, appiccicosi di rèsi111a,o forse impalarli vivi e farne un bello steccato al chiuso dei porcelli, o magari bollirli nel pentolo111edove si prepara la tintura per le reti, oppure .... - Ma, sapendo che la fantasia di Nèrito, U111a volta accesa, si .sbrigliava come una ca– valla pazza, e desideraindo di udire il seguito del racconto di Tè– lèmo, Fedìmo gli mise un pugno i111 bocca e, con Ulllamanata sulla spalla, lo costrinse a sedere in silenzio. - Questa, - co,ntinuò Tèlemo, che intarnto aveva ripireso fiato, - era la 1scena che mi si presentò, quamdo l'arrivo dii mio padre gettò dalla soglia Ullla nube d'ombra 111eilla ,spelonca. Qual– cuno di quei mentecatiti aveva già male alla ;pamcia, e ,si torceva per terra, in pred0, agli spasi.mi di una oo[ica,. Molti baruff0,va1110 tra di loro, e si picchiavano di saJ1ta raigione, facenòlosi sberleffi d'ogni sorta, e J.'lllttallldo .... - Basta, ti prego! - supplicò Eumelo, detto la Signorina, che era schifiltoso d'orecchio. - U1110 di quei mingherlini, più degli altri astuto d'occhi e pe– tulante di lingua, ch'era, o almeno pareva, il loro capo, all'apparir di mio padre gli si fece incontro, e oon U111 forbito discorso, che contrastava ·oolla sua casacca lacera e colla sua voce avvinazzata, gli disse a 0111 di presso co~ì: « .Salve, chiunque tu sia, o nobile si- BibiiotecaGino Bianco
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