Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
G. DORI.A., Del colore locale ecc. .381 sone, o investite di pubblica autorità o mosse semplicemente dal desi– derio, che è proprio dei cretini, di mettere il becco nelle cose che non pos– sono capire, si svegliarono un giorno, dopo una laboriosa nottata di sogni divinatori, con una scoperta e con un proposito. La scoperta: essere Napoli una città orridamente sudicia e arretrata, i napoletani rimanere attaccati a modi di vita riprovevoli e incivili. Il propqsito: ridurl'e Na– poli a grande e moderna capitale di un ideal regno meridiano d'Italia, condurre i napoletani, con l'ausilio delle guardie municipali, opportuna– mente aumentate di numero e di privilegi, a una vita civile degna dei tempi». Contro le malefatte, o soltanto le pacchianerie dovute ,a questo diciamo lodevole desiderio di civiltà, il Doria ,è vigile e all'erta. Vede– telo quando parla dei restauri del Castelnuovo, « che stanno lavorando a.morosamente come una cassata siciliana », o della rovina mineraria della penisola sorrentina, o sempre che tocchi di monumenti o paesi minac– ciati, come ieri dall'incuria, così oggi da troppo integrali o troppo inte– ressati restauri. Ma i nemici peggiori del nome napoletano, sono certo i suoi troppi e troppo sentimentali poeti dialettali, i suoi canzonisti, infine i piagnucolosi menestrelli di Piedigrotta, cui il Doria contrappone i veri poeti napoletani del 600 o quelli della raccolta Casetti Imbriani o di Mo– linaro del Chiaro, realistici e sani sempre, e spesso allegri. Chiagneno 'e manduline 'ncopp' 'e Camaldule .... Chiagne chitarra, ca è l'urdema chiagnuta .... ,Sentite come risponde il Doria: «Eh-sì! Ve lo figurate voi un buon napoletano che s'abbraccia la chitarra; e piangono, lui e la chitarra, insieme ? Ma quel napoletano ha bisogno di una bella fetta di mellone; con la quale mangia, beve, e si lava la faccia». E, sem– pre che tocca del carattere meno evidente, e quasi direi del « secondo 'carattere», dei napoletani, il Doria mi pare particolarmente felice. Come quando afferma : « noi napoletani abbiamo tutti, nel nostro foro inte– riore, un Pulcinella che ci ammonisce>>; e, dopo un poco, conversando l'autore col suo intimo Pulcinella, cosi l'apostrofa: « e tu Pulcinella un poco sei ignorante e un poco malevolo, come tutte le persone dette di buon senso >>; oppure dimostra come qualmente « il napoletano non cammina mai, ma passeggia sempre», pede cata pede, cio~ piede su piede, passo su passo. A Napoli « si corre per vedere qualcosa, non si co~re mai per fare qualche cosa». Oppure: « il napoletano ama di essere regalato di qualche cosa sia pure della amicizia e della servitù, che qui si offrono, si proffe– riscono come una merce qualunque; pagherebbe il napoletano qualsiasi. cosa per andare a teatro con i biglietti di favore». O illustra le grandi frasi del dialetto napoletano : « chi me lo fa fare ? >>. Insomma, dopo questo libretto Del colore locale, direi che c'è un buono scrittore napoletano di più. E il Doria ha un senso realistico delle cose anche letterarie (come chi, prima di scrivere, ha vissuto), un piglio ,giocoso, una brevità che altri non ha. Qualche volta, si sa,' dormicchia anche lui. Due dei suoi capitoli, Il ~apoletano che cammina, e Pensieri sui napoletani, finiscono così teneri (« un canto nell'anima e un sogno nel cuore>>; « e quanto l'ho cercata senza trovarla questa Immac.ola– tina ! »), ma cosi teneri, che quasi quasi, questa volta, andreblle di diritto al nostro autore quella tal fetta di mellone. E non gli è scappato detto una volta che il Fucini fu « scrittore eccellente, quantunque toscano » ! ibliotecaGino Bianco
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