Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
A. STANGHELLINI, L'indovino del tempo che trova 377 sotto. ·Se non che Panzini governa meglio col riso la nascosta fonda– mentale tendenza alle situazioni patetiche. E la stoffa cangiante del suo stile, facendo giocare più frequentemente vicini i due colori, ti dà l'impressione d'una maggiore fusione e sequenza. In Stanghellini la minore continuità dello stile nasce anche da ciò : il suo non è un viaggio sentimentale, in cui da cosa si generi cosa, come in Sterne e in De .Maistre, nella Lanterna o in altri libri panziniani. È un quaderno di note, di memorie staccate : ogni frammento tende a vivere di per sé; meglio: non è nemmeno un frammento, ,è un tutto in sé com– piuto. I frammenti, se mai, erano in precedenti raccolte di appunti, e son passati qui associandosi, integrandosi in modo da dar vita a veri e propri organismi (vedete Primavere). Erano magari solo degli indirizzi, ; in un taccuino di guerra, e n'è uscita una prosa luminosa e commo– vente come un sorriso tra le lagrime: Indirizzi, appunto, con tanto di clausola gozzaniana. Ci son èose, in questo volume, che puoi giudicare come giudicheresti una ,lirica (Un sogno, ed è uria bella lirica). E ve n'è altre, che si potrebbero ristampare come un bozzetto o una novella (Il laghetto non c'è più, delizioso racconto). Qui c'è un ritratto che fa pensare a Gaspare Gozzi, li un pensiero che ti ricorda un moralista. E passando d'uno in altro saggio (diciamo saggio così per intenderci), adesso ti par che la prosa di Stanghellini scorra via semplice, impecca– bile e flautata, come quella di ,Serra, poi che acquisti alcunché d'impet– tito, di legato, ma non senza ardimenti di lin,gua e di stile. A La casa segue Il laghetto non c'è più: lì v'erano anche parole, qui ci sono sol– tanto cose: l'espressione s'è fatta improvvisamente dura, incisiva. Se leggete Passeggiata sull'argine vi viene in mente Papini. Volterra vi fa pensare a Cose viste di Ojetti. Discontinuità, dunque, di stile anche in senso ristretto; benché ci sia sempre una delicatezza, una squisitezza di tocco, proprie dell'autore. Tornando al paragone con Panzini, questi il s,uo stile se lo creava po– nendo, tra un'inclinazione nostalgica alle belle espressioni antiche e la propria sensibilità ormai aliena da esse, una pace estetica assai difficile senza la mediatrice ironia. Stanghellini crede alla necessità di toni di– versi, passando da un genere all'altro dell'arte sua? O tenta la gamma degli accordi, aspirando a tradurre le proprie qualità di scrittore in nuove, raffinate fusioni ? PIERONARDI. ALESSANDRO BoNSANTI, La serva amorosa. - « Solaria )), Firenze, 1930. L. 12. Sebbene il Bonsanti si dimostri molto attento, nelle sue novelle, a precise definizioni di tempo e di luogo, desta lieta sorpresa j_l fatto di non incontrare in un libro che si sviluppa su basi e motivi regionali quel gergo d'occasione e quell'afa postribolare che sembrano inerenti, e chissà perché, a questo tipo di letteratura. Segno indubbio di relazioni soltanto estrinseche con certo regionalismo narrativo che torna in onore; come ci conferma l'andatura tranquillamente anacronistica dei racconti del Bonsanti, i quali, per quanto siano di argomento ottocentesco, toscano e BibliotecaGino Bianco
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