Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
O. ALVARO, L'amata alla finestra 375 riconfermarlo. Ma la provincia, il naturalismo, il pittoresco, il folklore, sono in Italia lo sfogo spontaneo d'un sentimento irrazionalista. Euro– pei nell'enunciazione, provinciali nell'attuazione sono i nostri artisti: e perciò efficaci, soltanto se provinciali. _ Quasi sempre, in Italia, il sentimento che imbeve le opere d'arte, se rimane ambizioso, e cioè vuole documentarsi e far prova di psicologia, fallisce : e invece riesce quando resta ingenuo, e cioè si sfoga in pitture di vita provinciale, fatte da scrittori poco filosofi. Così è nell'Alvaro: in un romanzo di due anni fa, Uuomo nel labirinto, accanto alla felicità delle pagine di pura visione, spiceava l'inconsistenza del tentativo di darci un protagonista, con il suo « mal del secolo » : e anzi il tentativo disturbava nel libro, come una nebbiolina intorno a un corpo ben fatto. Ho fatto un discorso così generale, perché l'Alvaro è uno degli esempi più interessanti di tal cadenza parigina, che rimarrebbe astratta se la Calabria, la ,Sicilia o l'Abruzzo non le dessero poi le note. Ma dunque perché, se non sono diversi, basta aprire quest'ultimo libro, per distinguere un Alvaro parigino da un Alvaro provincia_le? Viaggio di nozze a Napoli; opera del secondo, è una cosa bella: La notte insonne, . bontempelliana, è addirittura bruttissima. Com!;)sempre in arte, si ha il brutto quando si ha falsificazione. Appunto perché il provinciale e il parigino non sono distinti, quando essi si distinguono, si sono avuti astrazione e artificio : l'unione non è artificiosa, bensì la separazione. 13] facile capire quando l'Alvaro riesce: quando la stramberia e l'incon– gruenza fantastica non rimangono astratte, letterarie, volute, ma vivono naturalmente nell'ispirazione paesana, che le domanda. Dalla provincia e dal folklore, così trasformati e avvivati, nasce quello che l'Alvaro rag– giunge nei suoi momenti migliori : la fiaba. Prendo una delicatissima novella, La corona della sposa, e chiedo quante pagine si scrivono ora di questa gentilezza. Dimentico così quante volte, anche in Alvaro, si finge la novifa secondo la moda del tempo, dicendo cose comuni e non rinnovate (la nostalgia del proprio paese, l'amore' materno) con un parlare a sprazzi, con una meccanica crudezza di passaggi, con inver– sioni ed ellissi, che fanno intorno alla pagina un alone d'apparente mi– stero. Anche l'Alvaro dimostra, se ce n'è bisogno, che anche in arte eccellenza vuol dire onestà. Apro ora una novella, Alfabeto : a un pastore che impara a leggere, le lettere paiono simboli naturali e divini come i fulmini, i venti, le onde: si ripete nel suo animo la creazione del mondo attraverso la simbologia del linguaggio. ,Se cerco un simile personaggio nei ricordi eruditi, giungo senz'altro alla Scienza Nòva del Vico e ai bestioni poeti: tenendo presente che il bestione poeta è la rappresentazione completa ed esatta dello scrittore secentista. Dove mai si sono trovati, io penso, nella nostra letteratura, altra volta, questo naturale libertinaggio, que– sto godimento dell'fogegno nel puro gioco delle sue facoltà? Dove s'è avuta mai, cosi piena, questa eguaglianza d' arbitrario e di naturale, di spontaneo e di sforzato, che d'un popolano, che si mette a poetare, fa un marinista, e appare falsa soltanto di fronte a un'arte matura? Non si può non pensare al seicento per esempio, al Basile, in cui la destrezza marinista, morta per lo più nel Marino, vive nel genere popolaresco, BibliotecaGino Bianco
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