Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930

( 3U V. CARD.A.RELLI, Il sole a picco ------------ parte, e fortissima, di sofista, di sofista signore, che quan~o ~cri ve (o scriveva le prime cose) lo fa andare oltre il segno, quando giudica lo fa esser freddamente crudele. Ora che, almeno scrivendo, egli ha mostrato di voler meno ascoltare il suo demone, perché batter le mani a quelle prove di bravura ? GIUSEJPPEJ Dlll RoBEJRTIS. CORRADO_ ALVARO, L'amata alla finestra. - Buratti, Torino, 1929. L. 10. E giudizio comune che Oorrado Alvaro sia uno dei temperamenti più ricch'i di doti e insieme più sprovvisti di spirito critico della nostra letteratura attuale. Non saprei chi ricordare, a proposito di lui, tra gli autori viventi, se non Rosso di San Secondo quando scriveva Ponentino e prometteva grandi cose. L'Alvaro, dice la critica, salito dalla Calabria con un bagaglio d'impressioni rustiche e sensuali, giunto nelle grandi città, accoglie alla rinfusa, senza discernimento, tutte le suggestioni libresche, subisce Parigi e Bontempelli : darà il capolavoro, per cui ha certo i mezzi, in una delle sue tante prove a corpo perduto. Ho ripetuto un giudizio corrente, giusto, ma super.ficiale. La critica, per solito, disti~gue in lui due filoni: quello realista- e contadino, d'una pesante e soffocata sensualità meridionale, che ricorda il primo D' An– nunzio; quello funambolo e, per intenderci, bontempelliano. Il secondo, si dice, è nato soltanto per inquinare e convellere, con un Alvaro goffo e d'accatto, l'Alvaro genuino. Solo nei momenti felici, in cui l'Alvaro rimane soltanto paesano, si ha la misura delle sue possibilità. Così si giudica comunemente questo scrittore. Nel i giudizio, è per me ristretto l'equivoco più diffuso della nostra critica'. quello d'opporre sempre, come contrari, gli atteggiamenti pari– gini e i contadineschi, l'influenza di Rimbaud e quella di Verga. Per ·tutti i nostri: autori, compreso il D'Annunzio, si ripete che essi raggiun– gono l'arte quando si riattaccano a un'ispirazione locale e popolaresca, falsandosi se tentano complicazioni intellettuali o psicologie di figli del secolo. Anche per il D'Annunzio si ripete a sazietà che egli non è un raffinato o un decadente, ma un ingenuo e selvaggio abruzzese, e che in questo è la sua grandezza. Ma la ricetta, che vuol guarire Parigi con la provincia, giudicando il primo malsano e la seconda salubre, è :i.lluso,ria. Non si può negare che gran parte della nostra produzione letteraria recente sia nata sotto l'egida della francese: e questo dipende dalla ragione medesima, per cui l'ispirazione paesana perdura da noi con tanta tenacia. Soffici, scrit– tore paesano è uno dei presentatori di Rimbaud in Italia: nei nostri scrittori, si chiamino essi crepuscolari, o futuristi, vengano dalla Voce o dalla Ronda, la scuola francese sfoga sempre nel provinciale e nel popolaresco. E facile capirne il perché : la nostra letteratura, per quanto si sia detto il contrario, è già da molto tempo europea quanto la lettera– tura francese: e perciò vive nell'irrazionalismo, diffuso in tutta l'Europa-.· In Francia, dove le lettere sono cittadine e accademiche; 1 vertendo così sui casi psicologici e sulle idee, questo sentimento dà i suoi vangeli (Gide), o è capovolto in sterili negazioni neo-classiche, che non fanno che BibliotecaGino Bianco

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