Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930
B. CROCE, Sulla poesia del Petrarca ecc. 371 dovrP,mo dir forse che, piuttosto che una passione, ad animare la poesia del Petrarca, come già quella degli stilnovisti, sta lo studio e la· contem– plazione del gioco delle passioni ormai dominato ? E non troveremo in questo tono di commozione frenata e ragionata la causa del mescolarsi, nelle liriche del Petrarca, come già in quelle del dolce stil novo, di ele– ganza schietta e di artifici freddi ed oratori ? Non è questo il luogo d'approfondire le obiezioni cui ho accennato: e le ho notate soltanto per mostrare quanta ricchezza di spunti, d'osser– vazioni, di discussioni, di domande possa suscitare, nella sua concettosa brevità, questo sa,ggio del Croce. L'altro scritto sul sonetto del «vecchierello>> (che, come il primo, è una nota letta all'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli) è l'applicazione ad un caso singolo e determinatò di alcuni dei concetti esposti nel saggio ora discusso. Contro l'odierna tendenza a interpre– tare la lirica del Petrarca « come una battaglia tra amore profano e amor sacro», il Croce combatte, non senza valide ragioni, l'interpretazione religiosa offerta dal Calcaterra del sonetto: Movesi il vecchierel canuto e bianco. Egli preferisce riconoscere in questa poesia un esempio della tendenza, frequente nel Petrarca e già ritevata nel saggio maggiore, ad « appoggiare l'elemento propriamente poetico a ingegnose combinazioni intellettive, a compierlo e concluderlo con una sentenza o un motto arguto, a dilatarlo con espedienti oratori». Infatti, sulle orme del Fo– scolo e del Cesareo, egli vede nel sonetto, insieme con U:nmotivo di verace poesia (la rappresentazione del vecchierello), un iniziale atteggiamento suasorio e pratico, « l'apologia del Petrarca, còlto in fallo o consapevole di un suo. fallo». NATALINO SAPEGNO. VINCENZO CARDARELLI; Il sole a picco. (Terzo premio ,Bagutta). - « L'Ita– liàno », Bologna, 1930. L. 12. Il ricordo primo che ho di C'ardarelli, e che non mi si è poi, mai più, cancellato dalla mente, è il modo come diceva le parole, scandendole, e col dito levato, quasi ad avvertire che a dirle cosi c'entrava un po' la gloria d'averle scoperte, oltre il piacere di pronunciarle, in quel momento, bril– lanti d'un'aria nuova, e tutte viventi. Una novità dunque accompa– gnata ogni volta da una dimostrazione perentoria. Occorrerà aggiungere che la dimostrazione (quel dir cosi, quell'accennar col dito) m'è rimasta spesso più viva dentro della scoperta stessa? E che, svanita quella novità prima, ancora ne ascolto l'eco, un che d'inafferrabile e melodioso, che è poi il pregio delle cose di Cardarelli ? , Se rileggo oggi le pagine sue, anche le più invecchiate, e me le ridico tra me, da quel dirle esse acquistano un piglio nuovo, una nobiltà; e perfino certi motivi, che ieri in ppchi, oggi forse in più, ci troveremmo d'accordo nel riferire all'Alcione dannunziano (« Distesa estate, .Stagione dei densi climi Dei grandi mattini Dell'albe senza rumore»), portano una fermezza di linguaggio e di stile, una densità, una parchezza, che solo si tradisce alla .fine in vane efflorescenze oratorie, dove il segno non è raggiunto, e l'emozione continua abbandonata a sé, e muore poi, non BibliotecaGino Bianco
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