Pègaso - anno II - n. 3 - marzo 1930

362 U. Morra libertà degli artisti. Essi son tutti intenti alla vita che voglion fissare e ricrear sulle scene; intellettualmente infanti, non complessi, non arti– colati rispetto ai magnifici « tipi » del teatro cla13sico francese, questi ,personaggi hanno un piglio immediato, un'efficacia diretta sui sentimenti del pubblico popolare; son guidati da un'immaginazione creatrice singo– larmente immune da ogni sorta di pregiudizi. Chi li pensa è mosso quasi sempre da un senso ,generale di carità o per lo meno di rispetto, dalla fiducia che in ogni situazione, in ogni individuo ci sia pur il modo di ·scoprire il meglio. Figure che giudicate dalle linee schematiche e morte sono sinonimi di vizi come don Giovanni e la Celestina, (il libertino e la ruffiana), nell'azione vivo,no, creature umane, significative, per fino no– bili, perché per l'autore son tutti ,figli di Dio e li riguarda tutti con lo stesso sentimento; un sentimento che non potrebb'esser estetico se non fosse prima, e non esternamente, morale. Il nome, famosissimo in Spagna, della Celestina merita una breve sosta. Per chi non lo sapesse, si tratta di un'opera scritta sulla fine del quattrocento in tali condizioni di mistero o di paura da farne prelibato oggetto alle indagini erudite per i secoli; il risultato di queste per ora sarebbe che l'autore si chiama Fernando de Rojas, un ebreo convertito che l'avrebbe scritta a ventiquattr'anni e poi si sarebbe sepolto nel silenzio, forse per tema di persecuzioni. L'intreccio è semplicissimo : Callisto e Melibea, teneri amanti, si avvicinano per l'opera dell'interme– diaria Celestina e in brevissimo tempo tutti a un punto vengono a violenta morte. La Celestina dominando e preparando l'azione è la prota– gonista vera. Menéndez y Pelayo non si lascia stornare dalla potente creazione di questa figura, e la considera addirittura <( il genio del male» « il sublime della mala volontà capace di dar lezioni al diavolo medesimo. Nell'in– ferno estetico, tra i tipi di assoluta perversità che l'arte ha creato, nessuno, nemmeno Jago, uguaglia la Celestina». Pur riconosce alla Celestina una speciale grandezza. « Ambi professano e praticano la · scienza del male pel male, e convertono chi li contorna in strumenti docili per le loro abbominevoli _brame». Però in Celestina tutto è solido, razio– nale e consistente. Nacque nel più basso fondo, si allevò col latte della dura povertà, conobbe infamia e disonore prima che amore, e poi godé del mondo come chi di quello si debba vendicare, e quando si vide vecchia, abbandonata dai galanti, vendé l'anima al diavolo serrandosi dietro le porte del pentimento. Ramiro de Maeztu, che tra i libri che ho frequen– tato mi sembra aver composto il più sobrio (l'unico dove sia fatto il nome di Croce; segno che risiamo in un'atmosfera più nostra, meno rarefatta e meno catastrofica), attenua di molto il senso demoniaco che Menéndez y Pelayo scopre nella Celestina. La Celestina è per lui la crea– tura, anzi la santa, dell'edonismo; nel piano utilitario, economico, la sua. figura è perfettamente congegnata, piena di ragione, di risorse e di sa.– pere mondano; inoltre chiarissima con se stessa: « Io vivo del mio im– piego, come qualunque altro impiegato, limpidissimamente. Chi non mi vuole, io non lo cerco. Vengono a togliermi da casa mia, in casa mia mi . supplicano. Se bene o male io vivo, Dio è testimonio del mio cuore». Cioè la sua azione è, ai suoi occhi, una specie di morale, pienamente BibliotecaGino Bianco

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