Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930

Cinquemila lire lo vide tornare ubriaeo; si alterava appena, essa non se ne accor– geva quasi :più. Era bene così; le poche volte che, fosse perché lll:Onaveva denari in tasca o per qualche altro motiv,o, Feliee tor– nava a easa in sé, aveva un umore addosso che non si reggeva a stargli d'intorno. Lo prendeva un mutismo cupo dal quale sortiva soltanto per trattar ,male. Ma gli succedeva ,sempre più di rado e finì col non succedergli più. Inveee, quamdlo era acceso dal vino, diventava buono, remissivo. S'impietosiva sulla ,sorte delle sue creature, voleva booe a tutto e a tutti, e non disperava di sottrarli presto, in qualche mister1oso modo che lo faceva sorridere ammirato deilla ,sua superiorità, alle loro miserie. Egli lo possedeva digià, il mezzo per togliersene. IstwtivaiJnente, senza aiccorgersi che li ,sfuggiva, gli e:ra riu– scito per ora di 1110n incontrarsi eon la Fosca e C•0nTito; e, come in tante altre ciroostanze della vita, si lasciava andare a credere che ciò potesse prolungarisi indefi111itamente. Una mattina però, in una nebbia geilata che 111,on si vedeva a due passi, dietro a un filare di viti se li trovò davanti tutti e due. Tito va1I1gavae aveva gli occhi sulle zolle. Vangava anche la Fosca, e fu lei la prima a vedèrlo, però stette fissa a guardarlo senza saluta,re. Stavano oosì l'uno 111egli occhi dell'altr,o. Tito alzò il capo. Se sino allora aveva avuto qualche d'ubbio, ora poteva mettere l'animo in paoo. Felice sapeva tutto e acoettava il patto; aveva paura. Di che? Di !lui? Tito raddrizzava la schiena. La vigliacche– ria di Felioo lo giustific~va; non era per le cinquemila li,r,e né per ,paura che lui era stato zitto, ma perché oosì si vendfoava meglio, più a lU1I1go, più a fondo. Si voltò verso la moglie come per dire : « Hai visto ? Hai ca– pito, ora?)). La verg,ogna che risentiva in presenza di lei, quamdo essa pareva disprezzarlo amche più che per il passato, si a:issipava. lfa la Fosca guardava Felice, e questi si ,sentiva diventare mhiero e abbietto. Ohe avrebbe dovuto fare ? Mettersi davanti a Tito e comamdargli : « Ladro, rendimi le cinquemila lire ! >> ? Periché non lo faieeva? Paura o debolezza? Paur~ di chi? Di Tito? Avrebbe ri– mediato a tutto in un ,altro modo. O forse no111 rimedierebbe a nulla? Avrebbe aspettato sino aJlla scadenza della cambiale; allora parlerebbe forte: « Non pago; son quattrini miei. Li ha rubati Tito>>. E forte di questa riso[uzione, si allonta-nò in fretta, 00111 una dignità dispettosa, come quei raga,zzi puniti in preserriz.a dei compag111i,che ingannamo il loro amor p!rop,rio ferito 111utrendoin petto il disegno di una ipotetica,, i,m:probabile, trio111faintevendetta. Mentre alla· loro presenza, era impossibile di dubitare, tamto era .palese il disprezzo che ognuno nutriva per gli altri e forse per BibliotecaGino Bianco

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