Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
184 G. Pasquali La lingua og,gigiomo più driffusa tra i popoli civili è l'inglese; nel– l'ililcrlese è germamioo una parte del !lessico, ma la ,sintassi è ormai lati~a. L'l'l1ghilterra e l'America del Nord, estendendo il loro lin– guaggio, diffornd,01110 per il mondo forme latine di pe1I1siero.Il libro del Meillet fini·sicecon queste ,parolle: « La partie intellectuelle de toutes les 1amgues lititéraires de l'Euro,pe ocddentale est rnourrie de latin. L'Eiurope et l' Amérique pour.riaient oublier l'unité d'o,rLgine de leur culture, et elles 1I1e le ferwient pais sa.ns dommage; 11,eurs klJil.– gues de civilisation, par tout ce qu'elles , on<t d'u nité, •avouée ou dis– simulée, continueraient de témoi,glller que, ,derrière les diversités dont ·OIIl se fait gloire et dolilt on s'exagère la valeur, demeure, parfois peu visible, souvent oublié, mais agissant, le puissa1I1tbien– fait de l'unité 1ati1Ile ». La 001I1quistalinguistfoa dell mondo è partita, abbiamo detto, da una città sola. Certo, il latino è orLginariamente la lingua non solo di Roma ma di tutto il vecchio Lazio, vale a d[re della regione che dal corso inferiore del Tevere si estende sino all'Appennino e ai Monti Albani. Ma che cos'è questo territorio rispetto per esempio a quello che fu ill dominio dei Greci, dei Celti, dei Germani già in tempi amtkhiissimi ? E che ,significano i dialebti di ]'aJleri e di Pre– neste di foonte a Roma ? Faleri, tutta ciroondata di Etruschi, ha parlato un latino etruschizzato, imbarbarito; già le più amtiche iscrizioni prenestine ci mostrano, c,ome il 1\foillet rileva, non già un di,aJletto genuino, ma un romamo venato di sfumature locali. E il latino, come da principio non ebbe dialetti, oosi non li ha avuti sino a molto tardi. AllJli sono un gruppo di filologi, tedeschi i più e i migliori, si era fisso in capo che durante l'Impero alcuni scrittori Illativi dell'Africa, ed essi solt,anto, coLncidessero in certe peculia– rità linguistiche, e parlar,ono in buona fede di un latino afric-ano. Poi si è studiato meglio : Ilestesse pa,rtfoolarità si ritro:vano in scrit– tori contemporanei, ,o qua;si oontemporianei, delta Gallia, dellla Spagna, persino dell'Italia. Quanto più l' Africitas si alla.rgava, tanto più essa perdeva necessariamente di consistenza. Tendenze stilistiche comuni, che si •riducono a mescolare arditamente arcaismi trasmessi per vie letterarie con qualche neologismo e con quallche innovazione personale; di dialetto popolare neppur l'ombra. I dia– letti voog,ono a galla tardj ; essi derivano, certo, da reazione dell'ele– mento indigeno soggiog-ato : un popolo che impara tutt'in una volta una lingua ,straniera, introdurrà in essa il proprio 31è,centoe la &datterà alle proprie abitudini sintattiche e persino morfo1ogiche. Ma il processo di decomposizione, che ha ,origine da questi muta– menti, non è subitaneo e nemmeno rapido; è progressivo, e dura, progredendo, per s,oooli e secoli. Nell'Italia Centrale, dove la po– polazione era o 11atim.a o a:ffim.e ai Latim.i, italica pretta dove quindi reazione indigena non ci poteva essere, dovettero co~tribuire for- BibliotecaGino Bianco
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