Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
La prima poesia del Leopardi Per te pensoso e muto alsi e sudai, e te cerca avrei sempre al mondo sola, pur non t'ebbi quaggiù né t'avrò mai. 169 Dove è chiaro che i poeti non sempre SO!lloprofeti, specialmente quando nella stessa poesia predicO!llo due cose contrarie. Qui il Leopardi aveva avuto ragfone la prima volta, e a torto si dimen– ticava di ciò che esaltandosi aveva affermato. Povera cetra mia, già mi t'invola la man fredda di morte; e tra le dita lo suon mi tronca e in bocca la paro1a. Presto spira tuo suon, presto mia vita : teco finito ho questo ultiiIIlo canto, e col mio canto è l'opra tua compita. Noi ricordiamo : « ed a me stesso In sul languir camtai funereo camto ». Eccolo. Or bianco il viso, e l'occhio pien di pianto, a te mi volgo, o Padre o Re supremo o Creatore o Servatore o Santo, tutto son tuo. Ritorna alla rassegnazione, alla dedizione pia, ma oh quamto pe• nosa ! Lo dice sinceramente, stupendamente, il primo verso, con quel pallore, con quelle lagrime. E nella ,copia stessa, nell'onda delle invocazioni par che voglia affogare la riluttam.za, domandosi COIIl 11acontrizione devota. Sola Speranza; io tremo e sento 'l cor che batte e sento un gelo quando penso ch'appressa il punto estremo: deh m'aita a por giù lo mortal velo, e come fia lo spirto uscito fore, nol merto no, ,ma lo raccogli in cielo. T'amai nel mondo tristo, o sommo .A:more, innanzi a tutto, e fu quando peccai colpa di fral non di perverso core. O Vergin Diva, se prosteso mai caddi in membrarti a questo mondo bas-'<o, se mai ti dissi madre e se t'amai, deh tu soccorri lo spirito la,sso quando de l'ore udrà l'ultimo suono, deh tu m'aita ne l'orrendo passo. In questo orrendo è l'ultimo guizzo livido del disinganno e del rim– pianto, perché certo lllOIIl si riferisce •solo al futuro cioè alla sorte che al rischioso passo tioo dietro. O Padre o Redentor, se tuo perdono vestirà l'alma, si ch'io mora e poi venga timido spirto anzi a tuo trono, BibliotecaGrnoBianco
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