Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930

250 R. FRANCHr, Piazza nritìa rattere che altri direbbe intimista di quel libro, la musicale e un po' in~ certa autoinflessione di quelle prime pagine ritornano in Piazza natìa, meno schietti forse ma arricchiti di modulazioni e di risonanze, dopo un'esperienza narrativa che ha dato alla nostra recente letteratura tre romanzi brevi, o racconti se cosi si vuole, ai quali la critica non ha concesso ancora, salvo eccezioni, l'onore,. che pur meritano largamente, di una discussione serrata : la patetica narrazione di Pocaterra che destò scarsa attenzione in un periodo nel quale l'esistenza di una gio– vane letteratura italiana non era stata posta ancora nei termini di un pittoresco e rumoroso « problema» ; il brumoso racconto « populista ll della Maschera dove sono alcune delle note più concrete del Franchi e un più deciso passo del giovane scrittore dalle insistenze formali del vario stilismo delle riviste d'avanguardia verso esigenze di « tempo >J narrativo delle quali il gusto e il movente sono da ricercarsi senza dubbio in suggestioni d'oltr'alpe, accolte peraltro con una assai pru– dente e controllata parsimonia; e infine L'amico dei poeti, un breve romanzo popolato di siluette rigide e compassate, una sorta di baite à surprise intellettuale, nella quale si dovrebbe ricercare, oltre il senso letterale assai ovvio, sebbene talora specioso,. un valore allusivo, una chiave che farebbero del libro anche un documento singolare della nostra ultima vita lettei'aria (ed è quasi inutile notare come il libro valga p~ù per la superficie, che ha tratti di vera finezza, che per il piano recondito, il quale sarà in pochi anni affatto impenetrabile). Appena trentenne, il Franchi non è rimasto, come si vede, ·inope– roso. Tra i giovani della sua generazione pochi, anzi, hanno avuta altrettanto travagliata la formazione, dura e complessa la vigilia. A lui non è stata concessa l'indifferenza, la gratuità di spirito di quei recenti enfants terribles che hanno ostentato di dannare fra i cattivi maestri i propri immediati predecessori, alcuni dei quali, oltre tutto, ancora giovani e operanti. I legami del Franchi con alcune posizioni formali e spirituali nate in Italia negli anni dell'ultima Voce e della Ronda, sono sensibili; e qui non è certo il luogo di studiare se e fino a che punto taluni modi riflessi, - atteggiamenti d'animo e relative deter– minazioni di stile, - comportavano di essere echeggiati senza un qualche logorio (eccezioni che si fanno regola e perciò di scarso effetto in un'arte che ha appunto quale scopo formale « la meraviglia»). Sarebbe un'inchiesta che oltrepasserebbe di troppo il caso del Franchi; rife– rendoci al quale occorre semmai precisare che talora il suo scrupolo dell'écriture artiste contrastando con la rapidità del suo metodo di lavoro (il paradiso delle « terze pagine->, s'era aperto anche per l'antico monello di Piazza Pitti) può averlo indotto in momenti di stanchezza fantastica a chiedere in prestito qualcosa ai repertori delle allusioni e dei tics più in voga. È un inganno al quàle tutti abbiamo sacrificato : senza pensare che in realtà le così détte forme miste non comportano elusioni o scorciatoie e richiedono un rigore non meno duro di quello delle forme più semplici. ·Ma sgombrato il terreno da ogni equivoco, occorre dire che dal suo primo motivo ispiratore, - la piazza nativa con l'antica e ormai quasi favolosa trattoria paterna, e in faccia il transito impassibile del sole BibliotecaGino Bianco

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