Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
246 U. FRACCHIA, La Stella del Nord nelle due carrozze). Ma in quanto alla psicologia dei personaggi, all'in– terpretazione concreta dei loro affetti in relazione alla vita familiare, è altrettanto evidente ch'egli non poteva impegnarli a fondo; non poteva cioè far nascere un affetto da fratello e sorella fra Benedetto e Alessan-. dra, un affetto realmente paterno tra Iupiter e questi due, e di madre tra Celeste e Alessandra. A impegnarli in un sentimento reale li avrebbe falsati, mentre occorreva badare alla loro disponibilità. Difatti, un vero sentimento paterno sorge solo tra Iupiter e Massimo, nella lettera non impostata; materno fra Celeste e Benedetto; e Alessandra (a parte quel giuramento romantico fra lei e Benedetto) è realmente ·1egata solo al nonno. Anche la tenerezza di Iupiter con Celeste non è per cosi dire, di timbro coniugale, ma ha la morbidezza, ora stanca e delusa, d'un rapporto tra amanti. È per questo che, quando, alla fine del romanzo, il lettore assiste alla fuga di Celeste con Marcello, e legge la lettera che costei prima d'uccidersi manda a Massimo, e subito dopo a,scolta la rivelazione di Iupiter, non si stupisce: l'intero romanzo tendeva segre– tamente a questa conclusione, s'appuntava attraverso il séguito delle scene e dei fatti a una soluzione nella quale i rapporti familiari fossero ristabiliti nella loro vera realtà. S'accoglie quindi come un fatto natu– rale l'apprendere che sotto un unico tetto, prima all'albergo poi alla villa delle betulle, vivevano i resti di tre famiglie; essi avevan potuto vivere insieme solo perché., come dice Iupiter, alla fine, a Massimo: « Il mio sogno era di crearmi una famiglia>>. Labile sogno, simile all'altro nel quale egli s'è gettato da maniaco, il sogno delle pietre, naufragato nelle misere rocce degli Azzurri come la Stella del Nord sullo scoglio. Questo, per quanto riguarda la tessitura interna del romanzo; tes– situra che abbiamo considerata a parte per comodità espositiva. Ma_ il succo, il sapore del romanzo, non è evidentemente tutto da questa parte; anzi questa parte ha più che altro valore di documento; riguarda, se non proprio l'intreccio, la situazione del romanzo. Situazione non fa– cile, dirò di più non comune, che mette la Stella del Nord in un posto a sé nella narrativa italiana d'oggi ancora incerta fra il realismo della tecnica e del linguaggio ottocenteschi e le sortite novecentiste. La Stella del Nord non è un romanzo realista, ma non è neanche un romanzo 'di tipo romanzesco. Si direbbe, giusto per un suggerimento esteriore, che sia frutto d'un felice incrocio fra il romanzo di timbro settecentesco e certe qualità, specie nelle parti psicologiche e ritrat– tistiche, del romanzo lombardo, fogazzariano. Si pensi, cosi alto alto, a un Paul et Virginie messo accanto a Piccolo mondo antico: l'alone patetico e vagamente avventuroso del ·primo congiunto all'esattezza tal– volta miniaturistica di certe pagine di Fogazzaro. Ma, ripeto, si tratta d'un paragone esterno, d'una vaga affinità d'aria. Il sapore del romanzo non è tanto nella situazione né, ancor meno in questi richiami esteriori, ma nel tono delle sue figure. Soprattutt~ in Celeste e in Iupiter. La morbida grazia leggermente surannée di questa donna, la delicatezza femminile, incantata e volage dei suoi modi psicologici, la sua patetica, svagata e nell'intimo ard~nte e an– siosa natura, si fondono in un tono tra il reale e il poeti~o d'un'ef– fusa bellezza. Celeste è una figura che non si dimentica. ,fil una nuvola BibliotecaGino Bianco
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