Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930

P. P ANCR.A.Zi, L'Esopo moderno 245 Nella sua sconfinata fiducia e potenza ùi illudersi, le par di vedere nella favola abbassata l'umanità; e se mai i vizi, anche i vizi, li vede più grandi, eroici anche quelli, e dell'uomo solo. GIUSEPPE DE ROBERTIS. UMBERTO FRACCHIA, La Stella del Nord, romanzo. - Mondadori, MHano, 1929. L. 12. Credo che anche ai lettori meno attenti, come a quelli che in un romanzo vogliono trovare pure un bell'intreccio, non sarà sfuggito sin dalle prime pagine che la famiglia di Stefano Iupiter era, a dir poco, una famiglia singolare. Per suo conto, la propria eccentricità, Iupiter la dimostra col solo presentarsi sul ponte della nave incagliata, ed P. facile accorgersene da quando comincia a parlare; ma il colloquio di Benedetto e d'Alessandra « sopra un mucchio di gomene arrotolate J> e ancor più il loro secondo colloquio nell'albergo, mette come un'ombra esitante nei loro rapporti. Il lettore ha un dubbio : sono fratello e sorella 'questo giovinetto e questa fanciulla ? Ma anche il primo dialogo di Iupiter e Celeste, un breve dialogo che intona su una nota di tenerezza non propriamente coniugale i rapporti fra i due coniugi, è una spia, introduce il dubbio che essi non siano marito e moglie. Del resto, in tutto l'andamento narrativo affiora questo dubbio; ricordo l'impressione delle prime puntate. La realtà di quelle figure è come immersa in qual– cosa di fittizio, in un'aria leggermente alterata. Gli stessi particolari realistici, i più forniti d'evidenza obiettiva, subiscono come una sorta d'incanto perplesso; ogni cosa, ogni apparenza è cinta da un alone che ne sfuma i contorni. Quasi si pensa che lo stesso naufragio, - che pure ha tutti i caratteri del reale, - sia una cosa sognata. E su quel nitore di colori di cui appare dipinta la città, la luce ha un che di mordente, di troppo luminoso ; si guarda quasi come un quadro, una realtà dipinta, e in sostanza irreale. ,È forse l'effetto della psicologia dei personaggi, un loro riverbero. Come si procedeva nella lettura (è sempre l'impressione della let– tura a puntate che andavo facendo su questa rivista, e che ora cerco di risuscitare), le figure di Celeste, di Iupiter, di Benedetto, d' Alessan– dra, del nonno, nonostante che vivessero tutti raccolti come in una famiglia, si sentiva che vivevano ciascuna per conto proprio; mancava quell' amalgama, dirò, morale, quell' intesa profonda riposante sulla certezza degli affetti e sul legame del sangue che fa di persone, sia pure di temperamento opposto, una vera famiglia. Fracchia ha saputo sugge– rire questo senso di perplessità, quest'aura di dubbio, anche trattando i fatti come cosa certa, cioè senza togliere ad essi credibilità, efficienza reale: ma ha immerso cotesta efficienza in quell'atmosfera dalla quale il lettore potesse per suo conto dedurre il dubbio che la famiglia di Iupiter era una cosa probabilmente fittizia, una famiglia, diremo, per caso. Non era facile.· La tecnica realistica, affidata alla certezza dei fatti, è evidente ch'egli non poteva usarla appieno; e ha quindi preso da essa solo quella parte che poteva riuscirgli utile in una scena de– scrittiva (si veda, a esempio, quella assai bella della gita in montagna BibliotecaGino Bianco

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