Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
242 P. P ANORAZI, L'Esopo moderno -------- Apriamo allora il Tommaseo, cioè quel repertorio della sua penna instancabile che è il Dizionario estetico, e cerchiamo sotto la voce « Esopo »; vi troveremo fitte e allineate, sotto tredici ~iversi titoli, due– centoquarantaquattro favole da lui tradotte. Aveva 11 Tommaseo, per tradurre Esopo, qualità molte, molte più forse di quelle che il tradurlo richiedeva e tutte tese e acuminate : intelligenza finissima, se pur om– brosa ind~le acre volontà e direi caparbietà di moralista e, in fine, a, ' ' dispetto del suo più geloso rigore, una punta di decadente nell'anima, che doleva : quel che insomma bastava a far capire, ma anche a tradire Esopo. Con un poco più di disilluso e superiore riso, e di senso astrat– tivo, avrebbe potuto, al di là del vero Esopo, darci un Esopo più nuovo, più melodioso e intellettivo, il suo pensiero in musica; a darci, quant'era possibile, un Esopo vicino al vero, gli mancò felicità di fantasia e mente affabile, e gli si aggiunse poi il sapor freddo della lingua a dissociare quelle che erano le sue virtù. Le sue traduzioni sono come disseccate, rac– corciate, direi senza moto. Se la brevità della favola solleva quel suo con– tinuo pertinace parlare indiretto, quel definire sempre e raffreddare in forma logica i fatti vivi e le persone come se trattasse d'argomenti che non toccassero che l'intelletto, il difetto rimane pur sempre quello, quello è sempre il peso che anche in queste favole più pesa. Non c'è re– spiro tra riga e riga; non c'è varietà e ricchezza di tono. Piace il con– gegno del suo periodo, con quelle sue giunture accorte; ma dentro il discorso corre non dirò meccanico, ma raggelato; e quella risonanza che ogni favola bene accordata porta, qui è :nulla. Alla fine la sua dispo– sizione a trattare la materia della favola è di dispetto ; e una volta sola forse, in quell'Inverno e la Primavera, dove non tocca nulla di umano, ma canta un mito, ha trovato da poeta accenti nuovi, e la voce di chi tradusse e ricantò i Canti popolari greci. Che cosa ha fatto dunque Pancrazi per avvicinare al gusto moderno queste favole ? Ha, prima di tutto, tolto a ogni favola la morale, ai contrario di quello che avevan fatto gli antichi traduttori, fino anche a Francesco del Tuppo, che non s'era contentato soltanto di lasciare in– tera la morale, ma aveva aggiunto riflessioni sue, e vi aveva applicato. con la sua esperienza gli esempi della storia vicina e lontana. Anche il Tommaseo, si dirà, aveva tolto la morale. Ma Tommaseo, togliendo la morale e scheletrendo la favola, le aveva rapito il tono suo proprio e quel certo movimento di festa che è in tutte, o· in quasi tutte. P~ncrazi– invece a ogni favola ha dato un titolo, che è una specie di richiamo al . lettore : o contentandosi delle indicazioni comunissime, che è raro ven– dicandosi poi, senza parere, con un~ parola sola, per commento' (« Il solito agnello ii, « La solita formica >>) ; o assorbendo nel titolo la morale · o, quando gli serva, sacrificando la battuta finale, dov'era aspettata ; trasportandola nel titolo; o, senz'affatto sacrificarla, commentando!~ e continuandola, cioè anticipandola, nel titolo stesso; o, aJla .fine, supe- 7ando ~l senso della ~avola, e s~ggerendo un'idea nuova, fosse pure vaga, mdefimta, per dar libertà a chi legge o per metterlo nell'imbarazzo. Ma ha poi fatto di più, traducendo (e questa è l'essenziale differenza dalla; traduzione del Tommaseo, la differenza direi di stile): ha adoperato un Biblioteca·Gino Bianco
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