Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
V. IMBRIANI, Le più belle pagine 241 al mattin la civettuola il camice Stringe sui fianchi», le floride ville, le selve di agrumi, le .fronzute pergole sotto le quali mescesi il vin di Piemonte, là dove con gli accenti avmo.nici Brune donne, dal petto, il cor ti svellono. Il poeta non sa che fingersi queste immagini, né lo attirano prn 1 suoi libri, e invano l'amica lo lusinga e gli offre il giallognolo vino renano: M'offende, in lingua bairbara, D'amor lo invito; mi par morso d'aspide Il bacio di germaniche Labbra; e la bobba rea mi raspa l'ugola. Terribile italiano e intransigente era l'Imbriani; e più amava l'Ita– lia quanto più s'impregnava di cultura europ!la, e giustificava il suo amore con la esperienza personale di altri popoli e di altre civiltà. Non deve confondersi, ché sarebbe alla sua memoria troppo ingiurioso, con gli apostoli di un gretto nazionalismo, anzi provincialismo, che si compiace nell'ignorare quanto è fuori di se stesso. GINO DORIA. PIETRO PANcRS\z1, L'Esopo moderno. Con un « Invito all'Esopo». Le Monnier, Firenze, 1930. L. 10. La letteratura italiana s'accostò presto a Esopo; ma, se cominciò per tempo, con un volgarizzamento senese, fin dove restava alle favole, curiosissimo, dopo quella prima prova per secoli diradò il suo inte– resse. A parte l'Esopo di Francesco del Tuppo che rinnova in pieno ri– nascimento il complicato gusto medievale di intendere e commentare lunghissimamente, e i rifacimenti cinquecenteschi tendenti alla rapi– dità e all'acutezza proprie della «facezia», solo tra il sei e il settecento fiorirono i favolisti, più, certo, di quanti non se ne trovino negli altri secoli sommati insieme, e, naturalmente, rinacquero i lettori d'Esopo. L'influsso delle letterature straniere, credo, e l'affinarsi del senso critico favorirono questo rigoglio; ma poi il decorativo di quel secolo, che il comporre in versi aiutò, distrasse da ciò che era l'essenza del sorriso esopiano; e insomma, fra tante favole tradotte o nate da quella ispira– -zione, non ce n'è nessuna che possa figurare accanto alle tante che pure i secoli tardi aggiunsero al primo vero nucleo di favole che Esopo ci lasciò. Meglio dunque rifarsi a quel primo volgarizzamento d'un se– nese, - una sessantina o poco più cli prolungate e minute moralità, ac– compagnate da artificiosi commenti che non meravigliano in un tempo che si provò a tradurre di tutto,, ma più tradusse dai trattatisti, e rac– colse detti memorabili, e trascrisse gli ammaestramenti degli antichi. Ma il fatto è che Esopo qui non è che un pretesto, e può essere tutt'al più curioso l'osservare come una materia tanto raffinata è passata in que– gl'ingenui travestimenti, per non dire del fascino acerbo e d'un che cli lento e remoto che il linguaggio conferisce alla favola. 16. -Pèi7aso. BibliotecaGino Bianco
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