Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
240 V. lMBRI .A.NI , Le piiì, belle pagine quale, nella scelta di queste pagine, e per il modo come le ha illustrate, ha dato prova non solo del sagace senso critico e della salda dottrina che tutti gli conoscono, ma anche del fervente e illuminato amore, che gli conosco io e con lui divido, per Vittorio Imbriani. La bella e armo– niosa prefazione è fra le cose meglio pensate e meglio scritte che ci abbia date il Flora. Al quale, come· meno appariscente, ma non meno nobile fatica, ·bisogna riconoscere il grande merito di aver saputo sce– gliere, nell'immenso materiale disperso in biblioteche pt1.bbliche e pri– vate, in riviste e ,giornali di difficile rinvenimento, quanto, in breve volume, potesse dare una idea complessiva del pensiero e dell'arte dell'Imbriani. Il risultato è tale, che ve.ramente per molti questo li– bretto sarà una rivelazione: rivelazione non tanto del critico (che in un certo senso era già conosciuto, se pur non in sua interezza), quanto dell'artista, che apparisce in primo piano, e di statura tanto più alta di certi suoi contemporanei, che già occupano molte e troppe pagine nei manuali di storia letteraria, e il cui nome non si pronuncia senza som– mamente riverirlo. Che cosa può compararsi, nella nostra letteratura moderna, per vivezza di stile, per- delineazione di tipi, per largo respiro umano, alla scintillante fiaba delle Tre maruzze? E quale scrittor nostro dell'Ottocento ha il senso del comico (non parlo di quella dubbia cosa che è l'umorismo, ma del comico, in un significato largamente rabelesiano) come Imbriani nelle mirabili pagine del Vivioomburio? E la storiella Per qiiesto Cristo ebbi a farmi turco non è forse, in un potente raocourci, un intero romanzo picaresco? I brani delle prose narrative (le Tre maruzze sono pubblicate per disteso, salvo la muti– lazione di qualche parola e qualche scena, che l'editore ha soppresso « non sa se per rispetto dei timorati o per dispetto dei viziosi ») occu– pano la parte centrale dell'elegante volumetto, nella ormai classica collezione; e sono preceduti da saggi del pensiero critico ed estetico dell'Imbriani, fra cui la stupenda e precorritrice pagina sulla « mac– chia nella pittura» ; e conclusi da alcune poesie, delle quali la lirica Bevendo Latte della Madonna (cioè il vino del. Reno così chiamato: Liebefraurnilch) mi pare degna di essere mandata a mente da quanti italiani si riempion la bocca di patria, e inalberano coccarde, e svento– lano bandiere, e intonano inni, ma poi si prostrano umilmente innanzi a,l più miserabile turista che abbia scavalcate le Alpi con i suoi scarponi chiodati. A capirla, questa lirica, a intenderne l'intima musicalità, bisogna ripetersela più volte, per fare l'orecchio alle apparenti durezze e storture. Ma poi ! Il poeta è in Germania e beve quél vino che gli porge l'amica, ma il suo pensiero è lontano, e giù nelle ' valli tiepide Ove, tra' clivi paa:npinosi, ondeggiano Le messi, e lungo i tramiti Serpillo e fiori i.Ii tutto l'anno olezzano. Ove limpidi rivo11 Loquaci e lenti, propulsando macine, Disalterando mandrie, Vanno e ristanno in grembo a' laghi ceruli. E la· descrizione della patria continua, con un succedersi di imma– gini potenti: i lidi che allacciano l'acqua come il « dorato cingolo Onde BibliotecaGino Bianco
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