Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
238 V. IMBRIANI, Le più belle pagine almeno l'avrei collocata, con pari dispetto, nella, come diceva Vico, « libraria dell'impostura>>. Codesto Imbriani non sarebbe piaciuto, di certo, a quei valorosi e vigili custodi della dignità lin,guistica: eppure egli, nutrito fino alle midolla di scienza filologica, avrebbe potuto in– segnar loro centomila cose in fatto di lingua; ma la sua filologia era bizzarra. Il peggio è che non piacque nemmeno a quelli che si erano affrancati dal purismo e dal manzonismo, e avevano creato, col Car– ducci, la nuova vera prosa italiana, muscolosa e sanguigna: non piacque a questi liberti, perché la libertà stilistica in Imbriani era bizzarra e contaminata da non meno bizzarre pedanterie. (La verità è che un po' di pedanteria, se mai, rimase sempre, nel Carducci). E lo accusavano anche di rendere illeggibile la sua prosa, oltre che per le bizzarrie dello stile, per la intromessione in essa di ermetici precetti di filosofie alemanne (le quali tutte erano, in allora, definite « nebulose») ; ma il guaio è che Imbriani non poteva piacere ai filosofi, i quali lo trovavano bizzarro e sconveniente quando, nel trattare ardui problemi di filosofia dell'arte, lardellava il greve discorso di storielle e aneddoti, il più delle volte sboccati. L'austera compostezza dei filosofi non poteva non risentirsi di siffatto scandalo. E talvolta quegli aneddoti si dilatavano in lunghe novelle; ma queste non piacevano ai divoratori della cosiddetta « let~ teratura amena», i quali trovavano assai bizzarro quell'inserire, sul più bello del racconto, brani di secentisti e rarità erudite di ogni sorta. Bizzarria l'esagerato monarchismo, che arrivava persino a inneggiare alla forca. Bizzarrie, laceranti i meglio costrutti orecchi, gli esperimenti metrici. Bizzarria lo stesso modo di far stampare, in pochissime copie, con i frontespizi di traverso, e altre peregrine preziosità tipografiche. ,Bizzarra la vita privata; bizzarra la vita pubblica, con quei duelli e quelle aggressioni giornalistiche; bizzarro tutto, insomma, dalla testa ai piedi, dalla nascita alla morte, codesto Vittorio Imbriani. Ho messi in corsivo tutti quei bizzarri perché più chiaramente ap– parisse, nella concisa esposizione del giudizio corrente sull'Imbriani, vivo e dopo morto, il ritorno costante di quell'aggettivo, ora espresso in tono indulgente, ora in tono di disprezzo, o di stupore, o di benevola ammirazione. Anche il Croce, raccogliendo, nel 1907, alcuni scritti im-. brianeschi, vi pose il titolo generico di Studi letterari e . bizzarrie 11a. tiriche. Ora, non vi ,è nessuna difficoltà, da parte nostra, ad accettare lafbizzarria di Imbriani, sol che si voglia intenderla non come ricerca intellettualistica a freddo di forme curiose, di modi inusitati, di stra– vaganze stilistiche, o come fabbrica di teorie e giudizi contro corrente, per il solo gusto della contradizione o per quello, non meno raro, di sentirsi ingiuriare; ma invece come, - quale realmente è, - originalità profonda, che nasce- dall'intimo, che è la espressione immediata del sentimento e del pensiero dell'autore. Scrittori bizzarri ve ne sono stati sempre, e un po' dappertutto, e io non so immaginarne di più bizzarri di quel secentista che scrisse un trattato sulle occupazioni di Dio avanti la creazione, e di quel tedesco Reinhart che, nel secolo dei lumi, si propose la terribile domanda se Adamo ed Eva avessero l'ombelico. Ma queste erano bizzarrie escogitate da uomini che erano freddi calcolatori, e che le ricercavano per dar prova di virtuosismo e guadagnarne qual- BibliotecaGino Bianco
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