Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
234 V. E. ALFIERI, Lucrezio l'ansia e la pena, l'oscurità e il dubbio di tutti gli uomini che vivono e sofl'rono, e soffrono perché vivono e sentono di vivere. Disse bene il Marchesi con una di quelle sue espressioni che hanno la fermezza delle sentenze incise: « Lucrezio ha certamente sofferto più degli altri uomini; perché gli uomini solitamente patiscono la loro passione, non la vedono; sentono com'è, non che cosa è. Lucrezio è uno di quelli che sofl'rono e vedono con esasperante lucidità i propri mali». Ora appunto in questa passione e in questa lucidità, in questo male e in questa con– sapevolezza del male, è la poesia di Lucrezio; e quella sua interiorità profondissima che penetra e si effonde dovunque e gli stessi elementi dottrinali colorisce e riscalda. E ripensando, come dice ancora il Mar– chesi, « alla notizia di Girolamo, pare che il poema di Lucrezio con– tenga la ragione cosmica del suicidio di un uomo ». Ragione cosmica che nella sua interiorità e soggettività è sentita come unità fantastica, e cioè come poesia. Ma quando si parla di unità non si vuol intendere altezza eguale di tono dal principio alla fine. Disuguaglianze, e anch~ manchevolezze e stanchezze, sono in ogni opera di poesia; massime di certa estensione ; e sono anche nel poema di Lucrezio, massime nei punti di attacco o di passaggio. E bisogna distinguere tra disuguaglianze parziali e mo– mentanee che derivino qua e là da espressione incompiuta o meno felice, e un continuo e radicale contrasto che scinda e distacchi come in due ripiani paralleli ispirazione e dottrina, struttura e poesia e insomma poesia e non-poesia. L'Alfieri ha veduto bène: qui è il problema della unità poetica del poellla di Lucrezio. Né questa unità nega il Mar– chesi, come da certe parole dell'Alfieri (p. 221) parrebbe si dovesse argomentare. Non solo: c~deste stesse disuguaglianze c'•è un modo esterno e retorico di considerarle, e un modo interno, non retorico ma poetico; e non pare possibile che proprio l'Alfieri, inavvedutamente, in quello sia caduto, là dove parla di versi brutti che sarebbero scomparsi se il poeta medesimo avesse potuto esserne l'editore (p. 77). 0',è una bruttezza -, dimostra bene il Marchesi, - che in certo suo modo di essere, in certi suoi rapporti e contrasti e rilievi, non è più bruttezza; e quando su tutto, anche se più o meno, trascorre il respiro della poesia. Questa poesia e questa unità poetica l'Alfieri ha esaminata e ana– lizzata minutamente in tutta la seconda parte del suo libro. Assai bene; ma troppo minutamente. Meglio era se avesse più accentrato e concen– trato, - e non gli mancavano i centri da cui ,guardare più alto e più raccolto, - anziché diffondersi e disperdersi in una esposizione che ap– parisce talora un po' troppo pedestreII,1ente ordinata .e quasi meccanica. Considerevole e lodevole è anche la prima parte, di cui solo nel titolo è il difetto maggiore : perché, cosi come il titolo vorrebbe lasciar cre– dere, un Lucrezio uomo non c'è, e c'è solo un Lucrezio uomo in quanto poeta: che del resto è quello che l'Alfieri voleva narrare. Ma c'è anche tutto l'ambiente dell'età lucreziana, di costumi e di cultura, descritto con padronanza sicura delle fonti contemporanee; e ci sono personaggi tra i principali di quell'età, come Cicerone e Catullo, ravvivati e rap– presentati in pagine specialmente felici. ,Su qualche particolare avrei qualche dubbio : per esempio, sulla poca conoscenza che Lucr~io BibliotecaGino Bianco
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