Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930
Ricordo di Luigi Ambrosini 227 sin.i, di molte misure più su di tanti celebrati libri di guerra, sia rimasto quasi ignoto, questo perché non lo so. Anche quel che di asciutto, il ri– serbo che portava con sé, l'implicita antirettorica, a confronto di tante spampanate prose di, allora e di poi, lo farebbero meritorio .... Il critico risenti anch'esso il letterato; gli piacque più leggere e insegnare a leggere, che concludere e giudicare. In questa parola « leg– gere>> Ambrosini metteva un'intenzione, una compiacenza che non tutti possono capire. Gli sciocchi leggono per ammazzare il tempo, come se non fosse lui, il tempo, ad ammazzare gli sciocchi e gli altri; i saggi leggono per divertirsi, ciò che etimologicamente vale volgere se stessi altrove, arricchirsi, ritrovarsi in un nuovo mondo; i meno saggi, senza dimenticare sé, leggono per l'acre gusto di capire, di giudicare altrui.. .. Questi ed altri significati pesano sulla parola leggere. Lettore perfetto è quello che li raduna tutti in sé e ci aggiunge di suo qualcosa. Ambro– sini leggeva da goloso, da ghiotto. Per non perdere nulla, pretendeva magari di conciliare l'impossibile: nell'atto stesso, voleva meravigliarsi \ e capire, commuoversi e giudicare, abbandonarsi, cuor cantante, alla lettura e, come un perito, rendersi conto della tecnica, dei segreti del testo. Ohe più? Avrebbe voluto sorvegliarsi e insieme compiacersi di sé; con un occhio leggere e con l'altro vedersi leggere. Troppe cose? Può darsi. Ma che raffinato, che sapiente lettore egli fosse, lo si potrà sem– pre vedere dai saggi su Ariosto, Teocrito, minori e minimi, il libro che raccolse il meglio della sua critica, gli ultimi anni. Non che la sua critica si esaurisse tutta nella lettura, ma di lì partiva e lì tornava con una compiacenza, una sottilità di appigli, di motivi, un cosi sèrrato amore della pagina che subito lo distinguevano. Lettore difficoltoso, non tutti gli autori gli erano ugualmente adatti, :o.ontutte le opere lo trovavano equanime. Nell'analisi dei moderni, un più di severità, talora certe in– comprensioni, nascevano quasi dal dispetto dell'umanista deluso. Anche nei saggi maggiori e più impegnativi, il pregio di Ambrosini non stava tanto nei resultati e nelle scoperte. Il suo « Teocrito >>non fu poi im– postato molto diversamente dal celebre portrait del ,Sainte-Beuve; il suo «Furioso», a ben guardare, non rompeva gli schemi desanctisiani, corretti o integrati dal Croce nell' «armonia>>. Ma di Ambrosini, e tutto suo, era ogni volta il piacere di assaporarsi il testo, di ripetere più polita la pagina dell'antico, di farne cantar la parola. - O .Semichida, mentre vai, urtata dal tuo calzaretto, ogni pietruzza canta! .S'è detto di A.mbrosini, come già del suo amicissimo Serra, che re– pugnavano a ogni schema e rigore intellettuale. Sarebbero stati essi i nuovissimi àpoti, l'esempio raro di una ritrovata innocenza estetica. _ Lasciamo andare. La passione letteraria, non può prescindere dal mondo dei concetti, delle idee, non può negare l'estetica senza n~gare insieme sé o troppa parte di sé. Né certo Ambrosini era ,un intuitivo, uno scrittore improvviso. Seppe di storia, cercò, dietro le cose, la ragione delle cose. Come poté dirsi che Croce per lui fu tamquam non esset ? È vero piuttosto che il suo gusto primo, quel felice stare al concreto, salvarono la sua critica dall'imperversante psicologismo, dalla smania che prese tutti del « problema», della « crisi», del «dramma», quando la critica letteraria per un'ora sembrò aggregarsi alla psicopatia. BibliotecaGino Bianco
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