Pègaso - anno II - n. 2 - febbraio 1930

216 D. Cinelli pregna, come le vaoohe. E farebbe il figliuolo dl'un altro. Andò 111ella stalla e, a calci, feci alzare Ile bestie. Che miseria, la stalla! TII'e mesi prima, c'erano ciinque bestie: le vacche, le sue giovenche, e il c,avallo. Ora rÌIIllanevano quelle vec– chi-arelle con le palllce gravi, penz.ola111tidaJlle ossa scarnite. Tito le tirò fuori e le mi,se al giogo. Apriva un ooltro 111el basso, alla ,strada, ilil un pezzo di terreno fresoo, a piamo, per seminare i fagioli. Benché fossero i111 quello stato, le vacche tiravano bene al– l'aratro, i solichi si accostava1110paraJlleli, fondi e diritti. La terra era ilil punto, ,si ..sfarilllava, ca,deva dal vomere senza fare zolloni. Tito •arrivava sin quasi al ciglio del campo, lasciando una piooola proda che avrebbe ravviato 00111 la zappa. Ohe terra era quella! Da baciarsi ! Bisognava pensare alle acque, però, e già studiava dove sarebbe ,stato meglio intraversare i solchi di scolo suil lavorato. S'era fatto caldo, e Tito ,sudava abbondantemeinte, liberamente. Stav,a oosi bene, solo 111el campo a lavorare la terra, che il pensiero di ·tor111arverso casa era un dispi•acere ; ma per le bestie faceva troppo caldo. Avrebbe ricominciato dopo il imezzo del giomo; era giomo sino a tardi. Staiccò l'aratro: le bestie r:iimasero immobili nell'ombra di un Qoppo polveroso; ool moto mo111otonodelle code e coi brivid'i della ooten111asi sootevano di aiddosso i tafani ; poi, Tito le menò verso la stalla. Solaimente quando vide Ti to salire tra i loprpi dietro alle bestie, a, Felice ·tornaro1110 in mente i disoor.si del caffè. Ma 1110n se ne poteva capacitare. Tito veniva verso casa co me se fosse salito alla gogna. ,.La casa per lui •ormai era peggio della carcere; fuori, nel lavoro, si soordava di tutto. A vederlo oosi · stamoo e rassegnato, Felice si senti riprendere forza e lo aspettò a capo della viottola erbosa c,oo. U1I1 sorriso amaro tra i denti. - Pa,dro1I1Tito, mi rallegro con voi. Tito rimase sorpreso, senza fiato. Questo 1110n l'aveva oonside– rato. Ora gli pareva di ·aver fatto un torto a Felice. Non che pen– sa:-se alle cinquemila lire. Era rimasto padrone lui, senza acoorg<òrsi di avere scostato quelJl'altro. - N001 l'ho mica rubato - disse finalmente tra il raibbioso e l'umile, oome ,se si dovesse vergognare. No1I1 ebbe finito di dirlo che senti l'accusa 111asc,ost·a in quelle parole. Felice 1si mise a ridere. -Ah 1 no? · Era la prima volta che alludeva con Tito, sia pure da lontano, allle ci1I1quemilalire; ma ll10ll1 ebbe la oostanza di esser più risoluto, e d'altra parte l'allusio111e no1I1era abbastanza chiara per poterne tirare vaintaggio. Le sue parole caddero nel vuoto e Tito si valse di quel silenzio per far rimuovere le vacche, salir nell'aia e entraire nella stalla. Felice allora ritrovò la voce : BibliotecaGino Bianco

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