Pègaso - anno II - n. 1 - gennaio 1930

116 D. CINELLI, Oalafùria DEJI.,FINO CINELLI, Calafùria, romanzo. - «·L'eroica», Milano, 1929. L. 15. Ricordo la prima impressione che ebbi leggendo Cinelli. Ad aper– tura di pagina, quasi ad assaggiar la tempera di un metallo, sentivo un suono, un sapore, diversi da quelli che ero abituato a ~coprire neltla più parte dei libri moderni. C'è bisogno di dire che nel primo momen o la diffidenza soverchiò di gran lunga la sorpresa? Dov'era vissuto que-· st'uomo, che per mille segni si capiva toscano, anzi nato in una let– teratissima città, e che invece, dai gusti, dal modo di scrivere pareva lontanìssimo da ogni consorzio letterario ? Quando mi disserò che Cinelli, benché fiorentino, era vissuto molti anni in America, qualche cosa mi parve di capire. La sua prosa era lontana mille miglia da quella della maggior parte dei giovani scrittori. ,Se in molti di questi era rattenutezza e vigilanza, in lui era abbandono; se in qualcuno era ricerca di vigore, magari attraverso la secchezza, in lui era ingenuitl\, anzi candore; se in qualcun altro era bisogno di magrezza e di agilità, in lui pareva non esserci timore dell'abbondanza e magari del troppo. ,Ma, desideroso di non esser prigioniero di preconcetti e di mode, non potei fare a meno di riconoscere che, proprio per merito di un singo– lare candore, Cinelli riusciva a dare quello che voleva: un paesaggio, un tipo, un fatto; e che nell'affrontare situazioni le quali per altri sarebbero state scabrose, mostrava un piglio, unai disinvoltura, e nello snodare vi– cende e intrecciar affetti, una felicità e una sicurezza che ognuno doveva. invidiargli. Erano le pagine che danno il tipo di Armida nella Trap– pola, quelle sulla gita, insieme coll'arguta suocera di Pulce, alla torre di Ciciano, e le altre, le più belle, sulla stretta finale della beffa, po– tenti e rapinose. E anche se la lettura di Castiglion che •Dio sol sa scopriva già, secondo me, un'ambizione forse superiore alle forze del– l'autore, conclusi col dire che in quel candore - inteso non solo come posizione d'anima, ma anche di stile - era la forza di Cinelli; e poteva essere una forza per l'avvenire, se egli avesse « tenuto d'occhio anche i pericoli».' Purtroppo, quest'ultimo romanzo: Oalafùria, fa vedere chiaramente. che ai pericoli del troppo candore Cinelli non' ha badato abbastanza. L'ingenuità non· è soltanto nell'impostazione dei' racconto:. un giovine pittore, Tommaso Bardelli, tornando di notte da un convegno di si– gnori e signore, dove la sua giovane gloria ha avuto battesimo, trova in uno dei quartieri malfamati di Firenze una bambina che piange per le percosse del suo padrigno, che vuol spingerla a una vita obbro– briosa; ne ha pietà, con un gesto càvalleresco la libera dal suo agu,z– zino, la porta con sé e ne farà - il pittore è ricco - la sua pupilla. ~onostante un certo vizio iniziale, di tono più che di fatti, l'ingenua trama poteva avere un approfondimento, tanto più che la trovata di far della bambina la figlia di uno scultore, morto giovine e la cui moglie finì per miseria nel meretricio e nella tisi, poteva in un certo senso risultare felice. Ma l'ingenuità dei fatti diventa poi inverosimi– glianza di vita spirituale; penetra, si direbbe, nella spina dorsale del libro. Dopo la Trappola, dopo Castiglion che Dio sol sa, questo avrebbe . BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy