Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929

746 F. Flora Per il pregiudizio della cosiddetta anima napoletana, la quale, ad un certo momento, sarebbe quella delle canzonette, la poesia dialettale partenopea s'è chiusa in barriere arbitrarie, in un ambito di spiriti e 1 forme limitatissimo, e ne è venuta fuori una tradizione e ne è nato un gergo che minacciano di diventare oltremodo ridicoli. Si tratta, quasi sempre, di una ripetizione ed esagerazione ,fino alla nausea di motivi digiacomiani. Qui non si vuol dir male dei poeti napoletani viventi, molti dei quali per più rispetti son degni di simpatia, ma è certo che « Marechiaro », a « Piererotta », e « ncopp' 'o Vomero », naturalmente c()n « vase nzuccar,ate », e non di rado con « lagrime evase», ché gli occhi di questi innamorati hanno la goccia come i fichi maturi. Le innamorate sono, manco a dirlo, « femmene cianciose » e anche «carnale», la cui bocca è sempre na « cirasa » o una « fragola » o ,è « rossa>> come un «granato>>: anzi poi spesso non è una fiocca, ma« 'na vucchella ». E gli occhi? « So' doi stelle», quando addirittura non sono « 'o sole mio», cioè il loro. Tutte queste donne hanno « 'o pede piccerillo >>.E che è « l'ammore >>? « L'ammore è 'na catena». Il «core» poi non fa che ri– mare appunto con « ammore ». Aggiungete « fronne 'e rose», « fronne 'e limone>> •«fenestrelle », « barcuncielle », « loggie »; « chitarre e man– duline » : sentimentalismi di «mamme» che pare non abbiano altra fac– cenda che « chiagnere » : un pizzico di ragazze sfregiate che negano alle guardie d'essere state ferite dal loro Gennarino: un pizzico di « figliole n che diventano « pontoniere » o «sciantose»: un fattaccio di sangue per gelosia; condite il tutto con nuovi « lagrime >> e « vase » e « mmoro pe tté » e avrete la materia d'espressione delle canzonette napoletane. Vero ,è che a difl'ainare Napoli s'odon canzoni che alcuno attribuisce alla tradizione di Piedigrotta e ne sono invece una falsificazione disgu– stosa, con sceicchi, scimmy d'ogni colore, « eU'era un fiore del mal » E>d altre prodezze, in una lingua smozzicata e mutila che dovrebbe essere italiano e non è neppur paupasico : sono canzonette tradotte da tutte le lingue, e fabbricate in una qualunque città d'Italia. E-rnesto Murolo ha scritto perfino una opportuna canzone polemica contro queste falsifi– cazioni: - Tarantè .... Ma tu pecché te si' sbizzarrita cu chesti mmu.siche. fu.rastiere ? Ta:r,antè .... Mo cu « Valenzia ».... mo cu « Paqu.ita ».... napulitano nun cante cchiù !· Ma di questo, non est hic locus. E si voleva dire soltanto che la poesia dialettale napoletana soffre della pretesa di voler rappresentare una cosiddetta anima partenopea, la quale poi infine non è che un artifi– cioso rappezzo di emistichi, tolti alle precedenti canzoni e fissati come una eterna fisionomia di questa mobilissima e volubile e ingegnosa e sottile e laboriosa città. Se quel che atteggia la figura di Ferdinando Russo è un donchi– sciottesco gioco d'immaginazione e di nostalgie, la virtù di Ernesto Mu- BibliotecaGino Bianco

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