Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929

I , Poeti nQpoleta.ni 745 ~he ha poi avuto fortuna: un curioso linguaggio napoletano che tra– duce letteralmente frasi italiane o viceversa, e le condisce con equivoci e sgrammaticaturé. Ma troppe volte in questo pericoloso genere l'imme– -diatezza facile e a buon mercato corrompe l'ispirazione e sfocia nella freddura: nondimeno qua e là l'arguzia sa comporsi· nello stile e na- scono quadretti e immagini felici. 1 Ho conosciuto Ferdinando Russo al tempo in cui aveva fondata ap– pena la Vela latina e aveva ancora i baffi negri, giovani e guerrieri, con 1a poesia vernacola, salvo alcune eccezioni, stagna troppo in certe astrazioni oleografiche non so se più goffe o più fallaci. Com'è Napoli? E «bello». E l'aria di Napoli? « Addirosa », come del resto è« Posilleco ». Oppure« doce » oppure« fresca e fina ». Che fa la luna a Napoli ? «.Sponta ». Pare che a Napoli la luna non faccia altro che spuntare. E com'è la luna? « Argiento », oppure « janca », oppure, qualche volta « doce ». E il mare com'è ? «Verde» di giorno, ma <li sera, immancabilmente è « argiento », con relative « varchette ». Dove si fa l'amore? « A Pusilleco », a « ,Santa Lucia», ma qualche volta anche a le docili punte interrogative. Ricordo il suo volto generoso e arrogante, la guardata « guappa », la voce piuttosto scura e senza impasti me– tallici. Egli era stato il mio primo editore, accogliendo certe mie con– siderazioni Contro la pittura e contro la scultura che aveva nondimeno presentate con un sopratitolo : Le audaci idee; ed io, che gli ero gratis– simo e ancor oggi penso e so che penserò sempre a lui col più affettuoso animo, di quel sopratitolo non sapevo darmi pace, temendo che i lettori lo cre~essero posto in quel luogo da me. Poi gli portai un Elogio fu– nebre del Futurismo che fu il J?rimo stimolo a farmi adunare intorno al tema delle lettere futuriste gli umori temerari e gai è patetici della giovinezza, e ordinare, sotto d'orma di esame della nuova letteratura, i desideri e le speranze di più alta poesia. Russo si reputava poco apprezzato dai contemporanei, e, come av– viene, si rimetteva al giudizio dei posteri. Che la critica avesse ricono– sciuto e studiato un poeta come il suo amico ,Salvatore Di Giacomo, non gli pareva cosa ingiusta; ma ingiusto doveva parergli il silenzio sui versi di Ferdinando Russo: e gli spiaceva l'attenzione che i giornali prestavano agli scrittori più giovani di lui; non per invidia, ma perché 1a stimava sproporzionata e per nulla avveduta delle legittime prospet– tive. Si sentiva, come ho accennato, iI vero interprete di Napoli, e si vantava d'aver formato il suo stile cogliendo vocaboli e volute e senti– menti dalla bocca della plebe napoletana; e a me citava come esempio un verso nel quale un cocchiere si lagna 'del cavallo: « Chello c'abbusco s' 'o mmagna tutt'isso! »: un verso che egli asseriva di aver udito realmente e di aver trascritto nei sonetti Carruzzella 'e notte. S'è poi visto qual fosse il vero animo poetico del Russo: ed è poi certo che ogni poeta interpreta solo sé medesimo : e, in ogni caso, chi voglia ad esempio, interpretare gli spiriti più caratteristici di Napoli, per una indagine sociologica, la sola che possa aver senso, non crederà di trovare la città specchiata nei versi di questo o quel poeta se non in minima e fuggitiva parte, e considererà invece anche i poeti napoletani come elementi della particolare figura di Napoli. \ BibliotecaGino Bianco

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