Pègaso - anno I - n. 12 - dicembre 1929
742 F. Flora E più tardi lo stesso gioco dei tempi si ripete, quando il cantiniere vede in che modo mangiano i paladini : - Ohiste, pensava, so' ggente affatllte ! Mamma, e oomme faticano cu 'e diente ! Da quanto tiempo stevano affamate ? · Overamente so' d' 'o Cincuciente !... La folla degli ascoltatori continua, di tratto in tratto i commenti, e quando finalmente il sir di Montalbano appare in vista e par che raggiungerà il traditore Gano di Maganza, tripudia ansiosa : - .Ah finarmente ! L'ha afferrato ? 'Acc!re ? - S' 'o magna ? O sbrana, a chillo trar!tore ? 'O spacca 'a capa, o no ? Risponde il Cantastorie : - Mo ! Nu mumente ! Poi continua il racconto e lo commenta: « Elgli è Linardo ! » di Macanza il sire ntartaglia, gialliato dal terrore .... Zompa a cavallo, e allippa mane' 'o viento ! Nun ve vene l'arraggia !? Nun chiagnite? N'ati tt·re ppasse, e 'o steva p'afl'errà ! Io mo songh'io .... embè, che ve credite ? Pattsco sempe, quann'arrivo ccà ! Questo poemetto è il lavoro più compiuto che Ferdinando Russo, poeta assai spesso incondito, abbia lasciato : ed ha il tono di quelle rap– presentazioni schiette che fermano momenti non caduchi della nostra dilettosa immaginazione : e svegliano in noi sopiti sensi di popolana alltgrezza e di giochi virili, ove il buon senso per parlar più sicuro si vela d'ironica gaiezza. Un bel giorno, - allora non si parlava ancora d'aeroplani, - Ferdi– nando Russo, che anche ne1la vita era àvventùroso come un paladino, si sollevò in aria in un pallone areostatico : e il frutto poetico di quel viag– gio aereo è una fantasia, in cui egli immagina di essere salito in Pa– radiso, e canta un cielo tutto napoletano, la cui grazia allegra e malin– conica sta nel contrasto tra la realtà napoletanesca e l'idea spirituale che ogni uomo si coltiva del Paradiso. Se il poemetto fosse di forma più raccolta e castigata, se l'umorismo qua e là non ne traboccasse troppo facile e un po' grosso : qui la trovata. poteva mutarsi in un capolavoro. E tuttavia, cosi com'è questo poemetto, a tinte un po' frettolose e di agevole bravura, svela una vera, potenza in– ventiva: qualità fondamentale a chi voglia meritare d'essere detto poeta, ed anzi più rara e scelta che non la piccola eleganza dei mediocri che lustrano piccole frasi a tavolino. Belli ccose ! Nun v' 'e dico, pecché nun se ponno di'! BibliotecaGino Bianco
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