Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929
Enrico Panza.echi 469 merito di toglierlo a una· specie di involuzione che avrebbe finito con l'inaridirlo. « Essa lo tols,e all'uggia del pensiero aggrondato e solita.rio ed è stata (mi si permetta l'immagine) la grande finestra aperta per cui e~trarono nell'anima del poeta l'aria e la luce, il. fremito sano della, vita e delle sue battaglie. Allora, per lè recondite affinità che legano tutte le forze della vita nell'io vivente, il sentimento della natura e l'amore si rianimarono e rinvigorirono in lui; dalla crisalide triste di un Car– ducci leopardeggiante, usci Enotrio giovane, Enotrio baldo e impe– tuoso .... » Mi son fermato su queste sue opinioni carduccia.ne , per illuminarlo meglio nei rapporti col « vicin suo grande » che amò e a;mmirò franca– mente, così lontano dall'invidia come dall'adulazione. Questa serenità di giudizio, questa sincerità di cuore (il suo ultimò volume di versi si intitolò appunto Oor sinoerum) facevano di lui, oltreché uno scrittore ama,bile, un uomo adoraibile. Ma l'uomo la cui compagnia ,era incantevole, il saggio che nella conversazione aveva lo spirito fine e l'ellenica serenità di un contempo– raneo di Platone, è scomparso per sempre, e rimane soltanto nella me– moria di coloro che lo conobbero di persona; cosi come sono ormai pochi coloro che ricordano il grande oratore dalla .figura prestante e dalla voce d'oro. Alto e grosso, bellissimo di volto, con i neri occhi mobilissimi, noi lo vedevamo spesso uscire da quel suo studio dell'Accademia di Belle Arti in cui l'alto cortile lasciava filtrare una, luce verde come d'acquario, e avviarsi lentamente sotto i portici, meditando e gesticolando, mentre la gente si fermava a, guardarlo sorridendo e compiacendosi di lui. Gli pia,. ceva fermarsi con i pollici infilati nel panciotto, a guardare in alto fischiettando, immer'so in una bella architettura e in un fregio vivace. E accompagnarsi a lui, e sentirlo parlare, era un diletto inesprimibile: la sua conversazione era un incanto, e la sua voce una melodia. Oggi, dopo venticinque anni, si può giudicarlo, e assegnargli il posto che gli spetta, ,senza che il ricordo e l'affertto facciano velo al giudizio. Degli scrittori che vissero e operarono nell'età carducciana, egli è ancora dei poc hissimi la cui poesia sia rimasta e abbia resistito al morso del timi.po , veiramente espressiva dell'epoca che fu sua : ma, certo, gli farebbe gr,an s ervigio chi, messo da parte quel troppo grosso volume, desse delle sue liriche una scelta piccola ma definitiva. Si scorg,erebbe meglio allora il volto di questo poeta facile ma non corrivo, agevole ma non licenzioso : un volto che, a guardarlo bene, mostra meno rughe di quello déi suoi contemporanei i cui nomi, anch'essi, sono rimasti: Praga, Stecchetti, Rapi!'!ardi, Zanella, Graf; vorrei aggiungerci anche il Prati e l' Aleardi, benché dell'.età precedente, perché anch'egli, insomma, fu un romantico, benché nutrito di spiriti classici nella Bologna di Paolo Costa, e alla scuola pisana del D'Ancona: studi che non furono ostentati mai, ma che circolano come un buon sangue, anche nelle sue strofette più canore. Fra gÌi scrittori del suo tempo, egli non è certo un carducciano; pure, l'esempio del Carducci gli _giovò, _e lo conferma ~li _stesso: « Io da Giosuè Carducci troppe cose 1mpara1, perché potessi qm anche solo enumerarle. Imparai ,soprattutto il rispetto alla sacra Poesia.» Quella b1iotecaGi'1oBianco
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