Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929

Enrico Panzacch-i 465 un lunghissimo patire: fuori dal gua11cia,l,eesce a, mezzo il volume di Omero. Nella, sua lenta agonia, il condannato si consolava leggendo il libro divino; e mentre il morbo lo rodeva e la febbre a poco a poco gli limava la vita, egli correva lungo lo ·scamandro con Achille e con il grande Ettorre ; sogna,va armi ed eroi : si sentia come avvolto da un divino elemento, e circolar pei muscoli, unite ad onda amica, l'ira e la forza antica; e quando il suo cuore era triste, egli lo confortava credendo di sentire sul suo ca,po le lacrime di una dea: credea sentir sul capo le lacrime di Teti, e il suo cuor si calmava sotto le die pupille, come il cuore d'Achille! Questa sua nobiltà di sentire egli vol1e allargata ai grandi avveni– menti e alle glorie della patria. Ci inchiniamo davanti alla sincerità e all'altezza delle intenzioni; ma l'usignolo non può avere ìl volo e lo strido dell'aquila. All'incontro, egli seppe trovare il giusto equilibrio, lontano dal far gra,nde e cosi pure daUa breve poesia frammentaria, in certi poemetti d'ispirazione mitologica e letteraria, ma, ottimamente. digesti, che sono fra le migliori cose di lui. E allora 0hil'.One centauro, bel mostro sacro alla rapidità e alla sapienza., rinuncia alla immortalità per libe– rare Prometèo incatenato. Allora Leona;rdo, chinando su madonna Lisa la faccia· fi.diaca, le insinua, per coSii dire, quel meraviglioso sorriso; e, San Francesco parla del perfetto gaudio con frate Leone : Frate U!One, pecora di Dio .... È un ,:fioretto, tradotto in una serie di endecasillabi dolci e p~rfetti. Ed ecco Don Giovanni che già vecchio medita su un biglietto non aperto· e da tant'anni dimenticato, il biglietto della doilllla che forse, sola, gli avrebbe donato il ve;ro amore. Isabella Orsini posa l'ultima volta le chiome, le bionde chiome al gran letto ducale; e Atte piange sul cadavere di Nerone, mentre la turba inferocitai lo cerca· per darlo in pasto alle belve. Allora Nembrod, per vendicarsi di Dio che non ha voluto la gran torre, lancia al cielo i suoi dardi; e tutto il giorno e la notte fatica all'opera immane, finché ·una freccia ridiscende colorata di sangue : E Nembrod vell!lle,da quel di, chiamato, cacciatore possente in faccia a Dio. Sono poemi, diciamo per intenderci, «conviviali»; fantasie derivate, ma belle e luminose, con un chiaro concepimento fra epico e lirico, con ibhotecaGino Bianco

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