Pègaso - anno I - n. 10 - ottobre 1929
Il servitore del Dia,volo 453 . . nel cielo senza un cirro -dì nube, Bianco e vicino, il cielo dietro _i palmizi; un· cielo da presepio. Si direbbe che il ve1I1to non abbia mai spettiru.ato le palme, e che i!ll questa plaga 1I1on sia mai passata la te:i:npesta; mai il rigore del verno ; mai la pioggia torrenziale. · Gli afberi vivono senza combattimento; crescono dr~tti; noo b,aa:monodi; non si biforcruno, ed arrivruno su in cima a toccare il cielo, di sera, dopo il tramonto, allargrundo le loro palme a venta– glio senza preoccupazione di difesa. Bevono le delizie di 1I1otti lunghe e chiare. ·. Non VÌ sono né montagne né aiture; l'oriz21onte è limitato a qurunto l'occhio ~bbraccia dintorno e in alto. Scorgo i palmizi degli orti vicini, altrettrunto solenni e frasta– gliati nel cielo, come i palmizi del mio orto, e la mole più aìta è il minareto. I molti miru.areti dissemiru.ati per la città, di costruzime esile e lavçirati dì ,pizzi a tombolo, r-òssomigliano anch'essi ad un palmizio. Il minareto no'n ha nulla delle torri d'Europa, .IIlé dei oompanili di chiese : pare il fusto di un palmizio secolare, è come ma gigantésoa colmna ed ha per capitello sbalzi di trine. È come se fosse ~a pianta di dattero colil le palme potate in simmetria. Il cielo ti.pare tanto 'vici1I1ò, soozà i monti che ti ricordano l'enor– mità dello spazio. Erano i mo11ti la causa dello spavento quamdo; da r31gazzo, al mio paese, udivo· i tuolili d'inyerno.? Qui, non ,saprei immagiru.ai; -lo il furore del tuono. Mi pare, che nemmeno lo spazio sarebbe assai per un rimbombo e le saette arri-. verebbero a forare il cielo da parte a parte, e questo bianco. pa– .dtiglione fenduto lascerebbe scorgere le sta!llze del Paradiso'. Qurundo si è'soli e qualche dolore ci pu1I1ge,ritornano a parlare al nostro spirito le fole. Ora io ero veramente ~olo. Seduto sulla soglia del giardino, dopo n tramonto che sempre accora, pensavo a tànte mille cose lontane e vicine. Essere. soli e nolil.avere di.conforto 1I1ulla,è impossibile. Prima mi entusiasmavo per le negaziolili dì Giuda, ora quelle dottrilile mi facevaJll!ofreddo. E poi Giuda sarebbe stato, capàce di delitti. E il Barberiru.o era i00me lui. Ecco oggi parlava di vetro tritato. In que– sta casa nolil c'è che u1I1a srunta: la schiava ,Sudanese. E mi venne .da piangere: ma perché ho lasciato il mio paese .... ma perché'? ... Rimasi cosi, fino a.tarda ora seduto sulla soglia della porta di casa che dava sul giardi&io. Il cielo che si era imbrunito; si rischiarò muovamente al levarsi di Ufilquarto di lufila giallognola coi comi verso ponente. E allora mi prese un più aicoorato sgomento. Il giar– <lino esalava un odlore ,di arsura e di rose, e di lontano, portato da ulilo spiro di brezza, l'odore di legno aromato bruciato a schegge COfil lacrime di mirra ifil qualche moschea, mi passava sul viso, e si 3'ipinovava via via che l'aria appefil'a alitaisse. ca Gin·p ianco
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