Pègaso - anno I - n. 8 - agosto 1929
Il viaggio d'Italia 151 capire che una qualità unisce tutti noi italiani : la coscienza del– l'immortalità dell'Italia. Non bisogna confondere questa coscienza con la coscienza che hanno gl'l!Ilglesi dell' onnipotere dell' l!Ilghilterra; con la convin– zione dei Framcesi sulla raffilnatezza senza oo!Ilfronti della loro ci– viltà ; con la fede dei Tedeschi sulla missione della loro razza; oon la soddisfazio1J1e dei Nordamericani per la propr~a ricchezza e in– traprendenza. Questa nostra coscienza d'~partenere a una nazione immortale è così trwnquilla e •profonda che nelle lunghe avversità è stata runche silenziosa e rassegm.ata, tamto l'Italiano è sicuro che dietro le nubi splende sempre il suo sole. S'ha da aggiungere che in quei secoli avversi, quando soltanto la lingua, le lettere, le arti e i ricordi facevano di noi una nazione, sempre si sono trovati stranieri illuminati che giuravano sulla immortalità e sul fatale risorgimento dell'Italia; e questo non è avvenuto a nessun'altra grande nazione nel tempo del suo abbattimento o del suo servaggio. Ricostituiti in uno Stato e raggiunti i ,oonfini che Dio ci ha posti, . questa coscienza ha ripreso atti e parole adeguate, ma senza jat– tanza, tanto questo fatto della nostra indipendenza, unità e ragio– nevole potenza ci aippare come un fatto naturale, logico e perciò utile al benessere del mondo. Il senso d'un'egemonia o d'un primato può essere !Ilegl'Italiani più fervidi ed alacri una speranza; ma solo il senso dell'immortalità della nazione italiana è una fede e un istinto. Questa fede deriva da -un'esperienza di millenni; dalla cono– scooza diretta, e nOIIllibresca e fallace, che i 111ostriemigranti ci portano e che i continui visitatori ci offrono, dei popoli più diversi e lontani; dall'imponente ipresenza sul suolo nostro dei monumenti e delle rovine, come ho detto, di tante civiltà che una volta furono celebrate e ipotentissime e delle quali oggi non restano che questi avamzi, fenici, greci, bisantini, arabi. Monumentum monimentum, dicevano i nostri antichi. Questa fede informa da secoli la nostra vita, le nostre usanze, la nostra indole fin sulle montagne e nelle pianure più lontane dalle città. Essa dà all'Italiano U111a facile e sincera tolleramza per le opilllioni, i sentimenti, i costumi altrui, quasi che il resto del mondo sia un teatro piuttosto di legno che di pietra, piuttosto provvisorio che stabile, dove tutti si muovono e s'agitano ed egli solo sta seduto, nel suo comodo paese, a guardare. Quando turbe di turisti e di pellegrini vestiti a modo loro, passano per 1piazza Colonna, per piazza della Signoria, per pi,azza San Marco, gl'Italiani, se hanno fretta,. :fi!Ilgo!Ilo di non vederli; se hanno un poco d'ozio, s'allineano seri e cordiali sui marciapiedi, a guardarli sfilare come in una rivista e vamno a casa a descrivere ai :figlioli lo spettacolo che cor– tesemente quelli stranieri hanno loro offerto. BibliotecaGino Bianco
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