Pègaso - anno I - n. 8 - agosto 1929
130 L. Gaudenzio annotazioni di natura prevalentemente psicologica non si aveva esem– pio non ne favorirono allora la pubblicazione. Tanto più che, per i forti pregiudizi cinquecenteschi intorno ai generi letterari, tal tipo di scrit– tura frammentaria, che non tiene né dell'epistola né del trattato, non incontrava ancora il favore del pubblico. Che il manoscritto sia poi sfuggito all'attenzione di chi lo possedett~ !n ség_uito, si s:piega age_vol– mente quando si rifletta che, con la trascr1z10ne di lettere già conoscmte e con le su ricordate Egloghe virgiliane,, il quaderno non presenta, a prima vista, che uno scarsissimo interesse. · A parte, infine, l'enigma del manoscritto, resta sempre il fatto di questa sessantina di pensieri che, e per lo stile e per quel che dicono e per qualche accenno storico in essi· contenuto, possono attaglia,rsi alla figura del traduttor dell'Eneide, quale egli era quando, lontano ormai dai noiosi e faticosi negozi del suo servizio presso il Cardinal Farnese, s'era ridotto nella quiete della sua villa Tuscolana. « Studio più di star sano che di sapere, - scriveva egli nel '63 al Commendone, - ho posto fine all'ambizione ancora in questa parte delle lettere; solo vo raccogliendo e rassettando le cose fatte. Ed in questo, se ben mi compiaccio poco, passo però il tempo assai dolcemente, dilet– tandomi di veder le molte fatiche passate, e certi pensieri che mi son venuti alle volte, i quali ora non riconosco quasi per miei. » Chi ha certa dimestichezza con il fare del Caro non può ammettere che, s'egli avesse voluto alludere aUe sue vecchie polemri.che e alle sue. burle, avrebbe adoperato questa parola pensieri, egli che, per argomenti si fatti, ne aveva sotto la penna certe di molto più saporose. Non cono– scendosi queste annotazioni, è giusto che finora nessuno si sia fermato in sospetto davanti a un'espressione simile; ma è arbitrario pensare, ora, che proprio con questa 1 frase egli volesse alludere all'opera che noi ab– biamo riscoperta ? Pagine della vecchiezza, tali pensieri sembrano dettati dall'espe– rienza di una vita trascorsa, fra i maneggi di una Corte affaccendata e nella consuetudine d'uomini d'ogni sorta; e dove tuttavia più che l'in– dugio in osservazioni di carattere politico e militare, trovi lo studio di conoscere l'uomo nei suoi vizi, nelle sue debolezze e nelle sue virtù. Al– cuni hanno il piglio mordace di uno sfogo, come quel pensiero quinto .sulla E!Celtadei Signori, dove l'accenno alla volubilità e all'avarizia dei Padroni sembra adombrare il :riicordo personale dei torti sofferti ai ser– vizi del Cardinal Farnese. Né' privi di significato, anche per la nostra attribuzione, sono i pensieri in cui si accenna a Filippo II di .Spagna. Che il Caro abbia potuto conoscere Filippo è fuori dubbio : il secondo periodo della sua vita, trascorso dal '43 al '48 al servizio di Pier Luigi Farnese, tra viaggi faticosi e negozi diplomatici _in Francia, in Fiandra e presso Carlo V, ce ne fa _fede, e lo dimostra, con le molte lettere· scritte alla Corte spagnola a nome del Cardinale, quella del '57 al com– mendator Ardinghelli, dove il Caro si fa a descrivergli minutamente, com'era suo costume, una ,«impresa>> per Re Filippo, da un anno sa1ito · al trono. · V'è notizia, del resto, di personaggi italiani che abbiano avuto, in BibliotecaGino Bianco
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