Pègaso - anno I - n. 8 - agosto 1929
216 D. Fracchia -------------------------------;---- aperte sui cusci!Ili, anzi, meglio di tamti altri 1 : - Del :esto, - con– tinuò, - ritornando accanto a lei, c'era forse da scegliere? Il ~os:o no!Il è bello, ma non è llleppure da disprezzare. _Se tu sapessi c e albergo è questo! Qui certo noo viene a pescarci 1I1essuno. · - Perché? - chiese la siginora Celeste con un .sussulto, vol– gendosi a lui vivamente. - Credi che -Massimo.... che Benedetto .... - Oh, non penso 1I1é a Massimo né a Benedetto. Penso a ben altro. A tuo marito, penso. Penso alla polizia. - La polizia ? - disse la sigmora Celeste rassicurata : - Ohe cosa può fare la -polizia ? - A me nulla, dopo tutto, - rispose Marcello: - Ma a te? - Oh, io ! - esclamò la signora Celeste : - Io non sono sua moglie. · Marcello le volgeva ÌIIlquel momento le spalle, e, zoppicando, stava avviamdosi verso la finestra per chiuderne gli scuri. Si rivoltò bruscamente, e le chiese : - Come hai detto ? - Ho detto che 1I1on sOIIlosua moglie, - ripeté la signora Ce- kste. , - Tu non sei la mogilie del maggiore Iupiter? - esclamò Mar– cello stupito, correndole accanto. - No, nO!Ilsono sua moglie. Egli si passò una mano sulla fro1I1tee poi, togliendosi in fretta il cappotto, lo scaraventò sul letto. - Non sei sua moglie ? - gridò, scuotendola per il mantello : - E chi sei ? Di chi sei la moglie ? - Di nessuno, - rispose la signora Celeste, e si strinse 1I1elle spalle. Egli si allontanò nuovamente da lei, e illlcominciò a camminare avanti e i!Ildietro per quella stanza immensa. Scricchiolava l'im– piantito sotto i suoi .piedi, risonando ogni volta che egli posava per terra la sua gamba più corta. Il suo ,iso era livido, gli occhi torvi, e le sue labbra fremevano di collera. - Ah, ah, che bella oomrnedia ! - ripeteva ad ogni passo : - Ohe buffonata! Mi ci hai preso come UIIl pulcÌIIlo! · Non resse più all'ira che in rnn attimo lo aveva tutto sconvolto, e si precipitò contro di lei con i pugni tesi, come per batterla. Si trovò sotto le mani una •cosa molle, tepida, fragile, e il ricord!o del frutteto gli ribalenò improvviso lllegli occhi, e quello della strana impressiooe che aveva :provato allora, toccandole per la prima volta le spalle. Si ricordò anche di quella notte al buio, lllel giardino delle betulle, e la sua ira si mutò a un tratto in una specie di furore amo– roso, per cui, amzichè batterla, le si buttò ai ginocchi e, abbraccian– doglieli, tuffò il viso nel suo grembo come l'assetato lo tuffa lllella pozzanghera d'una sorgente, per spengere il fuoco che lo divora. BibliotecaGino Bianco
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