Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

\ 8 E. Pistelli dice uno dei suoi ascoltatori. Cicerone, che se ne intendeva, nolll finisce mai d'ammirarlo; in dicendo acerrimus e.t copiosissimus: _ 1110n solo - ma anche suavis et ornatus ; e chiama incredibile la vis dicendi e la varietas dicendi di Carneade. Doveva essere grande davvero, e in lui e illlaltri scolarchi, e alta e possente questa divina facoltà della parola, se a quella soltanto dovette la gran fama (dice uno storico che dopo Plat0111e Aristotele nessuno mai n'ebbe tanta e così diffusa e universale quanto Carneade). Dico a quella soltantor perché uno dei caratteri ,speciali a questi scolarchi Accademici è questo : che, come Socrate, sono maestri non sono scrittori. D' Arce– silao no111 si ricordano scritti, Carneade certo non scrisse nulla; conosciamo la sua d'ottri111ada Clitomaco, ossia da chi ha attinto specialmente a Clitomaco. Egli le sue idee le aveva esposte, difese, profondendo tesori d'arguzia, di dialettica, d'eloquenza, sempre con la viva parola ricca anche dei pregi esterni, voce bellissima e sonora. Avevan paura di venire alla prova con lui, e qualche_ volta si ritiravano lasciandogli libero il campo. Si trovò di fronte, tra gli altri, Alllti– patro di Tarso, u1110 scolarca degli stoici ; dopo poche prove Anti– patro tacque e si trovò subito disertato dai suoi scolari. Si provò allora a rispondere per iscritto; ma l'efficacia della risposta scritta era tanto minore che ci guadagnò soltanto un soprannome ridicolo uafoµof.J6aç, che sapeva urlare soltanto con la pe111na.Oggi i filo– sofi sono tutti come Antipatro: non parlaillo, scrivono; anche quando s'adunano a congresso, per lo più leggo1110. E ci vuol poco a dimo– strare i vantaggi dello scritto meditato sulla parola improvvisa. Eppure quando io vedo la miracolosa rapidità 0111de la parola di Carneade e degli altri si diffondeva, le folle che accorrevano a. u<lirlo, il febbrile movimento d'idee che produceva, e vedo il libro diffondersi, nonostante la stampa, tamto più tardo e lento e trovar~ tanto più difficilmente la via dell'anima, sono tratto a pensare (se dico uno sproposito, perdonatemi) che non sarebbe male che aves– simo anche oggi almeno qualche filosofo del tipo di Carneade e di Arcesilao. Potrebbero allora ooche essere tutti, come quella volta ad Atene, ambasciatori. N o-ta uno ~torico di quelle ambascerie che son cambiati i tempi: oggi il miglior diplomatico è quello che dice meno parole che può; allora si preferiva che avessero dato prova di più abboodante e più elegante eloquenza. Gli Ateniesi dunque elessero ambasciatori tre scolarchi: Cri– tolao peripatetico, Diogene di Babilonia stoico e Carneade acca- , idemico. Era l'anno 156 avanti Cristo. Cinque' anni prima il se– nato romano aveva pubblicato un decreto 001 quale quanti erano a Roma maestri di greco erano imvitati ad andarsene nel più ?reve te11:1po possibile. Tutti impeciati di filosofillJ,quei graeculi; e 1 Romam no111 se ne fidavano. Il loro Omero, En111io, 'Che era un BibliotecaGino Bianco

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