Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
122 A. S. NoVARO, Il piccolo Orfeo dolore profondo e insanabile ma personale, con una malinconia che si ,placa e si addolcisce nei mutevoli aspetti della natura. Novaro si è de– finito benissimo: il piccolo Orfeo. Anch'egli insegue l'ombra di una perduta Euridice. Anch'egli ha imparato « a salire oltre il suo duolo»; il pianto gli si è convertito « in luce di bellezza», e il destino gli ha dato, « grazia verace, - La sua disperata pace.» Ma se un giorno egli si affaccia sul mondo e vede che è tornata la ,primavera, allora il suo cuore torna a tremare di piacere, la bocca si riempie di canti: « È cosi bello il creato .... - E la vita è cosi buona! » .La vita torna spesso, come soggetto di canto, in queste pagine ricche di ·ansia e di nostalgia·, inafferrabile e rnria, tanto che il poeta non sempre riesce a chiarirla nelle sue allegorie ingegnose. « Alla tua porta vigila la vita - E ti sorride incredula e stupita: - Tenera amante, appas– sionata sposa - a te si lega ed avviluppa forte .... » E altrove: « Sono il fanciullo dell'età lontana - E tu sei, vita, il prato dove al gioco - Io corro spinto da non so che fuoco .... » ; che però è leggiadramente epi– grammatico. Cosi, immagini simili si inseguono in una intiera lirica, 'J.'utto di te m, è caro, senza. che ne esca un'immagine definita . .Pure, è ben vero che questo è uno dei caratteri di· queste poesie; la quali non si affidano tanto alle pure espressioni verbali (ma ve ne sono di bellissime, e sentite, e precise, e chiare, e ariose), quanto alla mu– .sica del verso e al ,suo fluire attraverso alle sillabe armoniose. Credo che in questa specie di contrappunto poetfoo in cui si accordano senza una ·regola apparente versi di varie misure, benché non si possa perciò· parlare di· versi liberi, pochissimi possano oggi dimostrare una valentia ,cosi ben dissimulata e una grazia così leggera. Bisognerebbe, almeno, risalire ,fino allè primissime Laudi e alla « Sera fiesolana ». Ma è una musica diversa. Ed è anche, talora, soverchi.a. Voglio dire che il poeta -vi si abbandona spesso con gioia, e dà gioia pure a noi, ma, con la gola .piena di canto, si dimentica talvolta fa, sostanza. stessa della poe~ia., Pa– recchie di queste liriche sono meglio mosse e spunti m&odici, che non -vere e proprie melodie col loro logico sviluppo e la loro forma chiusa. Altre sono costruite sintatticamente con un séguito -di interrogativi che· Tendono l'ansia del poeta con un procedimento non privo di vaghezza, ma un poco elementare (si legga, per esempio, Ohe sa delle -nuvole il. sole? e Soffio di vento). Le più felici son quelle in cui il respiro anche breve (non ci sono, in tutto il volume, liriche di grandi dimensioni, e questo non conta nulla, perché le poesie non si misurano a braccia) si .~onchiude in sé tStesso con grazia· per~etta, senza intèrrompersi Il senza disperdersi. Allora ci troviamo davanti a un_ piccolo capolavoro, come. -Vhimé che cosa è accaduto, dove un critico pedante potrebbe sì cogliere -qualche minuzia, ma dove il fantasma poetico e il sent,imento. si accor- dano. perfettamente in un cerchio di semplice melodia. E molto in alto -si giunge anche con Lucciole villanelle, in cui tutto sarebbe bello, se più accorto e più celato· fosse il trapasso fra le due parti, in maniera che il paragone s1 pr.esentasse spontaneo, senza esser troppo chiarameinte sug– gerito dal lettore al poeta. Ma era difficile render meglio di posi quel ·~mzzare e scintillare delle lucciole nelle pure notti estive: « Co.m'era BibliotecaGino Bianéo
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