Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
A. S. NOVARO, Il picpolo Orfeo 121 z~osità forse_ un po' troppo ricalcata, ci sono più segni che ci fanno riconoscere 11 Satta vero, e, meglio ancora, ci dicono quel che ,Satta avrebbe voluto essere. Vale la pena darla intera. « La tanca è un libro aperto : a somiglianza del mare. Ma forse è più che il mare. Ha cento voci. Ora parla come un confessore, ora come un consolatore. Si acci– glia; ma anche sorride. :El la patria di un popolo vario. E ha il suo re. Questo r~ ,è un vecchio pastore. Ha la barba bianca come Carlomagno, ed è sapiente come Sant' Agostino. C<mosce le scritture. Giudica del– l'erba del prato come del cuore dell'uomo. Comprende e indulge. La sua reggia è come -quella dei re barbari; una capanna. E tiene corte. Ha or– chestre per le ore del sole e per quelle del buio. A giorno, le cicale suo– nano per lui chitarre d'argento; a sera, i grilli, pifl'eri di cristallo. E quando è mezzogiorno, si alza il falco fino ai vertici del cielo, e squilla per lui l'Angelus con la sua gola d'oro. :El un re. E come tutti i re che son degni del loro nome, ha conosciuto la guerra, difendendo il suo regno contro le bardane e invadendo il territorio nemico. » Nulla da difendere o da maledire qui. E Satta difese sempre o maledisse. Forse per non saper ascoltare la voce della sua terra, non sapercene dar l'immagine che ai suoi occhi turbati appariva e spariva. Sol,) nelle cose che meno dolevano gli riuscì di conservare certo do– minio d'artista, di spender bene le sue poche lettere. Un che di sapiente acquista allor,1 il linguaggio, un colore leggendario non romantica– mente inteso, ma che è tutto in quel che dice e come lo dice. Rarisshni esempi. Più. spess0, specie negli ultimi anni, specie nei Canti del Salto e della Tanca, adottò un suo modo di comporre e di discorrere tutto svagato e in i-uperùcie. Il poemetto Lia, per citarne uno, fa pensare per la rarità, n11n certo per l'acerbezza rhe manca tutta quanta, ad alcuni poemetti appunto pascoliani, e richiama alla mente un portato dello stesso parto, lo .~·paventacchio del primo Pea; l' Epitalam-io bar– barictno sa insieme del Severino stornellante, e di D'Annunzio, dov'è più ornamentale e facile; il canto Ai rapsodi sardi disegna, con un ritm:1,re balbettante, paesi, anzi ombre di paesi, gracili, esangui, quando, come nella f<cucla di Oh'ilivani, non si consuma in pura eloquenza, senza quasi più il rieordo degli anti_chi crucci. Ecco: da Satta s'aspettava invece nu accordo tra la passione soverchiante di poeta della sua gente, e questi tardi frutti, quest~ lente esercitazioni di stile. GIUSEPPE DE RoBERTIS. ANGIOLO SILVIONovArto, Il piccolo Orfeo. - Treves, Milano, 1929. L. 12. Nella prima lirica di questa sua nuova raccolta, il poeta Angiolo Silvio Novaro ci rivela egli stesso la propria arte poetica e il segreto della sua poesia: « Perché tramuti la tua pena in canto - E volgi l'arido pianto - In armonia che consola --- Te co~ qualche a.nima sola! - E fai estate dell'.inverno reo - E della luna fai un bel cammeo - Sei forse 'il µiccolo Orfeo.» Non è la grande poesi~ cosmica dèll'antico Orfeo, co~ ]a sua- doolia universale e con quel <lar vita. a tutte le creature, anche ai bruti e alle cose inanimate; è poesia più raccolta e meditativa, con un BibliotecaGino Bianco
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