Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
S. SATTA, Canti Barbaricini 119 un evangelismo fuori tempo, da terrestre che era e scabro, gli diventò eloquente e indeterminato, e fece assomigliare la sua voce un po' alla voce di tanti. Allora, il piglio ritmico carducciano di certe strofe bar– ?are; il concett~smo pascoliano pietoso; il discorr~e continuo (non dirò 11cantare contmuo) delle laudi dannunziane s'affacciarono di volta in volta nei suoi versi, con una prepoten21a che dimostrava il nessun tra.– vaglio dello stile nel poeta. Prendeva insomma le forme dove le trovava tutto ùietro alie cose e alla sua pena; che si facevano naturalmente, pu; non essendo tali, estemporanee e provvisorie. Gran parte della poesia del Satta è di questa specie: sfogo del– l'_anima sen21aP1:'0prietà di linguaggi.o, dunque senza verità; e, poiché siamo al punto, senza l'ombra di quelle ragioni metriche alle quali pure i poeti, grandi e piccoli, sempre ubbidirono. Ma non è però tutta qui. Se così fosse, non meriterebbe, nemmeno che se ne discorresse. Certo, quel che egli proprio voleva essere, l'aedo della sua gente, il cantore commosso, ispirato, falli. E cerchiamolo, questo Satta minore e più vero, nei momenti,brevi, nelle brevi pause, dov',è là sua arte autentica, in succhio. Cerchiamolo e, volevo dire, estraiamolo dal corpo vivo della mas– sima parte dei canti, quelli appunto più drammatici e infuocati. Le immagini portano allora un che di caldo, e non sono, come altrove, trascritte fuori del raggio dell'ispirazione, fredde e composite. Dunque, è un artista, il Satta, a cui non giova il lungo lavoro, perché quel J.avoro è un obbligo della, volontà, non una necessità sentita dalla, lunga. Quando nei k{uttos egli ci metterà il suo impegno, a combinare con fantasia estrosa i magri versi, con un comporre a posta discontinuo e rapido, con un trapassar da cosa a cosa lontanissimo, con un'inten– zione di eccitare la segT·eta vita della parola, diciamo il suo fuoco eleinootare, allora si. vedrà che il disperdere in una musica allusiva la materia pesante, passiouata, della sua poesia, non era fatica per lui, e gli ci voleva altra mente, e quell'essenziale e iniziale disposi– zione al canto che è di pochi poeti rari. In un primo momento i Muttos possono sedurre; poi, a una rilettura, si sente che dicono troppo poco, giocano troppo sull'inespresso. L'arte del Satta, era proprio il rovescio di quest'arte. Guardatelo anche nelle semplici impressioni di natura, non già quelle indipendenti, ma l'altre segnate in margine, ,senza nulla di letterario, e con un ùono di semplicità, e di franchezza da far dav– vero pensare a un primiti'\"o. Il vento galoppava per la brulla Landa, col suo sonaglio gigantesco. Venivan dagli sparsi ovili i fischi Dei pastori lontani, ed il gannire Dei cani. Tetro spasimava alle ire Della bufera, il salto dei lentischi. Qui tutto è vivo e corrente, continuo: il verso non rompe il di– scorso ma lo seconda. C'è una mobile melodia che rapisce le sillabe. Eppu;e non s'è mai vista materia verb~le ?iù elementare. Di p_aesi, ancora, Satta ne descrisse: o sulla traccia di certe strofe carducc1ane, iblioteca Gino Bianco
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