Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

G. BORRI, 1 colloqui col Manzoni 113 mì s~mbrano quelli di natura morale : i pensieri del Manzoni suJla beneficenza (pp. 159-163), quello sulla rivoluzione francese « che fece sonar alto i diritti dell'uomo senza parlare de' suoi doveri i; (p. 246), e alcuni altri. E non conta che le pagine dedicate a questi soggetti siano poche. Le altre ci attraggono per quello che aggiungono alla figura bo– uaria ed arguta di Alessandro visto nell'intimità domestica, e per quello che ci dicono del suo affetto per la calunniata Teresa. Questo libro si distingue appunto da quelli del Tommaseo e de,l Cantù i due calun– niatori, per la sua intonazione da « memorie famigliari » ; ; perciò riesce simpatico. Il Borri, tranne nei rari momenti in cui lascia scorgere il proprio umore acre di fronte ai difetti de' suoi tempi, si nasconde agli ' occhi del lettore, raccoglie umilmente i ricordi del grande cognato, con un culto affettuoso per tutto quello che egli diceva e faceva : sicché si ha spesso l'impressione di leggere un vecchio, disadorno ma schietto, epistolario domestico. Queste pagine hanno un tono più dimesso ma più genuino che queUe del Tommaseo; sono scritte da un uomo meno origi– nale, ma non meno capace di comprendere il Manzoni, e sono più degne di fede. In confronto con questo pregio, è relativamente scarso quello che il Borri ha in comune con altri raccoglitori di briciole manzoniane. Mi– nuzie sulle opere di Alessandro, su' suoi giu,dizi letterari, sulle sue opi– nioni intorno alla questione della lingua, se ne possono spigolare anche qui: e sul secondo, e sopra tutto sul terzo argomento le notizie non sono poche. Ma in genere la loro novità è scarsa. Il Manzoni parla del Prati giovane (pp. 131-132) : ma in verità questa volta il maggiore inter– locutore è il Borri, diffidente di fronte all'astratta poesia contempora– nea. Parla degli scrittori del Caffè: « colonia francese» (p. 145); giudizio che ci può suggerir qualche riflessione intorno alla storia del pensiero manzoniano, ma troppo breve perché gli si possa attribuire un valore oggettivo. .Se ho letto bene, gli unici apprezzamenti che aggiungano qualche cosa di concreto al capitolo dei pareri letterari (e morali) del Manzoni, ,sono quelli sul Monti: sono del '37 (pp. 70-72); posteriori, dunque, di parecchi anni al famoso epigramma in morte del cantore di Ugo Basville. Non posso trattenermi dal riportarne alcune linee: « _ E che avversione, - aggiunse Manzoni, - aveva Monti per Fran– cesco I. Quando sarò morto, - continuò Manzoni, facendo prima un po' di scusa alle due signore, che stavano ad ascoltarlo - quando sarò morto, disse Monti un giorno ad alcuni suoi più intimi, togliete dal mio corpo tutto che vi troverete di più schifo, di più fetente, di più stomache– vole fatene un bel vaso e mandatelo a colui in nome mio. - Eppure, - continuò Manzoni, se il sovrano austriaco avesse voluto avvilirlo, e fargli cantare la palinodia, non avrebbe avuto a far altro che a gratifi– carlo di una pensione! » Ohi penserà ancora che « il cor di Dante>> fosse altro che una pietosa iperbole, una pietosa menzogna, una lode da epitafìo ? · . Quanto alla lingua, vi ,si fa un gran parlare del vocabolario del Cherubini che dovette essere il libro su cui il Manzoni rifletté più a ' P~gaso - B. BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy