Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929

108 F. ERCOLE, Il pensiero politico di Dante membra dell'aula regia, ossia della sua curia, sono sempre presenti a Dante. Dell'ltaliia egli segna, con esHitte.zzai confini di natura; ne mette in rilievo l'unità del linguaggio letterario; ne riconosce, nettamente differenziata, l'entità storica e civile; ma riconosce pure che solamente nell'Impero, sotto la gui<la, diretta dell'imperatore, l'Italia può ritro– vare la sua unità poli tic-a: nell'Impero, il quale da Roma e dall'Italia prende il diritto e la forza per la sua provvidenziale miss.ione e per la sua dominazione universale. Senza, dubbio è interessante risalire con l'Ercole alle fonti di taluni concetti danteschi; ma non ,si scinda ciò che la fede di Dante, con l'eclet– tismo armonizzatore che caratterizza la filosofia contemporanea, accetta in blocco, piegando le 6Sigenze della logica alle esigenze e alle limitazioni della realtà e della storia. Il ius humanum, ossia il vinculum humanae sooietatis, che, a garanzia della felicità comune, stringe gli uomini uella umana civilt1ì, ha nella fede di Dante, che confida nel trionfo finale del Regno di Dio, un valore pratico e provvisorio. Quel ius che agisce attraverso la Natura è pur sempre voluto da Dio. « L'Impero non lo crea, -- osserva a questo punto l'Ercole; - l'Impero lo trova; e non ha altra funzione che di reintegrarlo o ripri– stinarlo, dopo che il peccato di Adamo lo ha innaturalmente violato e alterato. 11 Ossia l'Impero è necessario « non già pe['ché il peccato abbia reso necessario il vivere civile o lo Stato, ma perché il peccato ha reso il vivere civile o lo .Stato insufficienti al proprio fine, che non è posto in essere dal peccato, ma dalla Natura, e quindi da Dio.» L'Ercole pareggia il concetto di vivere civile e di Stato; adegua un'organizza– zione in cui le volontà individuali, dirittamente operando, pongono leggi a, se stesse con puro atto di amore, a un'organizzazione dove le volontà, tra loro in lotta per cupidigia di predominio o di possesso, sono infrenate dalla forza coercitiva della legge: la societas edenica e _lo Stato terreno. Cosi che non so se quella che egli definisce la « vera audacia>> di Dante, non .sia più tosto un'audace deduzione del– l'Ercole per il quale tutti gli stati autonomi - cioè le a.ristoteliche cornmunitates pe·rfectae et per se 811.ffìcientes - sarebbero naturali ri– medi ai difetti d.nerenti alla stessa natura umana, indipendentemente dal pec.cato. Non è Dante che cosi afferma; è l'Ercole che deduce e varca i limiti fissati dalla dottrina cristiana. L'uomo nello stato d'in– nocenza, obbedendo al suo « libero, dritto e sano arbitrio» non avrebbe certamente avuto bisogno né di civitates né di regna; e le civitates e i regna, in cui si manifesta la vita umana, sOflOpur essi, mediatamente da Dio, un « remedium contra infirmifatem peccati», uno strumento di redenzione. · Lo Stato che dalla natura socievole dell'uomo viene in San Tommaso legittimato contro l'idea agostiniana della sua origine peccaminosa, è in ogni sua forma, dalla più semplice alla più complessa, un rimeòio contro il peccato ed ha fuori di sé i suoi fini, quelli morali e religiosi, chei Dio ha rivelato, che la Chiesa riconosce, che -l'Impero difende. L'Ercole osserva che Dante respinge il modo di concepire la vita pre– sente come -subordinata alla vita futura. « L'al di là mantiene per il BibliotecaGino Bianco

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