Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
F. ERCOLE, Il pensiero politico di Dante 107 ---------- civitas aristotelica per se sufficiens e dell'Impero universale per se sufficiens mesce per se stessa fondamentalmente assurda. Accettando la formulazione giuridica che, per risolvere tale contraddizione ne darà più tardi Bartolo, tutto il rigoroso edifizio dantesco della ordinatio ad 1~num resta scompaginato. L'idea di un impero universale rispondente a~l'un~tà della natura divina e all'ordinamento generale del mondo, .r1med10contro le degenerazioni delle particolari costituzioni politiche, resta relegata nella lontana regione degli idoli vani. Le deduzioni che l'Ercole viene traendo dalla contraddizione che nel sistema politico dantesco, come del resto nell'etica tomistica si genera dall'inserzione nel misticismo agostiniano della dottrina empirica di Aristotele, valgono solo a illustrare, nel periodo di Bartolo, la mesta ruina dell'Impero. E il risultato ultimo di un processo storico, di cui Dante non ha, e non poteva avere, chiara coscienza. L'ideale di un Impero universale, quale la tradizione della Glossa e dei giuristi fino a Odofredo e a Cino d8! Pistoia aveva legittimato, risponde alla fede di Dante in una palingenesi morale che mira al perfezionamento umano, più che 'a una completa attuazione del diritto; risponde a un bisogno pratico e contingente di creare un potere supremo, con caratteri e forza di autorità e di univer– salità pacificatrice_, entro l'organizzazione dei gruppi sociali autonomi, in cui si frazionava la società medievale. Il pensiero politico di Dante ha le sue basi nella sua coscienza etica: . s'identifica con la sua personalità di poeta e di profeta, che s'accende nel desiderio di una missione quasi sacerdotale per il bene dell'umanità; si risolve in un atto di fede che supera e armonizza le contraddizioni e le antinomie del suo sistema. Del resto la contrapposi– zione su cui l'Ercole insiste, tra le comm·unitates particulares e l'Impero, non trova nella documentazione dantesca basi incrollabili. Dante ha cosi pieno l'animo del suo superbo sogno imperiale che lascia, nell'ombra queste communitates. Accenna solo, per i fini della sua tesi, a certi caratteri generali. della dom1i8, della vicinia, della civitas e del regnum, ma non ne trae mai conseguenze pratiche e necessarie. L'esigenza uni– taria. dell'ordinamento mondiale Dante la vede cosi legata alla teoria dell'Impero che non si occupa, se non incidentalmente, delle organiz– zazioni politiche inferiori; le quali tutte s'incentrano nell'Impero e da esso ripetono in modo più o meno diretto le ultime ragioni del loro ordinamento e funzionamento. L'Impero si pone e si esprime come co– mandamento dei comandamenti. Ciascuna delle civitates sibi principes può proporsi e raggiungere, solo per l'Impero, il proprio fine eudemoni– stico particolare: la pace universale e la universale giustizia. Nel sistema politico dantesco non può inserirsi, se non a forza, l'idea di uno .stato unitario nazionale a,utarchico, avente fini proprii e leggi proprie e che non riconosca altra ?'utori~à che la propria. L'~~rma,.. zione dell'Ercole che i regna particularia, come forme super1on che s'allargano oltre gli stretti confini della civitas: sia~o per ~ante veri e proprii stati unitarii e n~ionali, ~ del t?tto 3:~b1trar1ae fa violenza a~a concreta realtà della, stona, su cm poggia e s mnalza Ja generosa utopia dantesca. Il frazionamento politico dell'Italia, la dispersione delle BibliotecaGino Bianco
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