Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
102 P. P. Trompeo Pur verità, diletta madre, è questa : Nel sen che tanto orgoglio chiude, spesso, Quando a te dolce e fida io son dappresso, Mi par che un senso d'umiltà m'tnvesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'impronta paterna rimase indele!Jil~, nel cuòre e nella mente. Al– l'Istituto Superiore di Firenze, lo confessava, senza vergogna, avev:a dormito ,sonni beati durante le lezioni del Villari e di Augusto Conti, il quale se ne lamentava scrivendo ad Alceste de L<;>llis; aveva seguito senza entusiasmo il corso di filologia neolatina .del C1;1,ix ,e quello di letteratura italiana di Adolfo Bartol~; s'era divertito a veder le signore inglesi rabbrividire di delizia dinanzi alla mimica predicatoria deWex– monaco Gaetano Trezza, che spiegava l'acito parlando di Darwin e agita,ndo energicamente• le braccia e la, chioma: le signore, diceva il De Lolliis,, eran « le stesse, di certo, .che a Londra andavano ad assi– stere al pasto quotidiano dei leoni, al ·Giardino zoologico, a.Ile quattro in punto. » ,Solo il Vitelli riusci ad accenderlo di vero entusiasmo : grau;ie a lui, ,s,isarebbe forse dato agli studi di letteratura greca, se, passato a Napoli e poi a Roma, il D'Ovidio e il Monaci non lo avessero mutato in neolatinista. Il D'Ovidio, « mago della scuola>> e che nella scuola, portava « la calda carità del maestro nato >>,lo attrasse in quella re– gione dove la·scie:nza non è più ombra gelida, ma luce meridiana. Al Monaci, come disse più volte al suo compagno di studi Mario Pelaez, si sentiva debitore d'aver proficuamente disciplinato, in indagini speciali, la riùollente energia. All'opera dei maestri italiani si aggiunse poi quella dei francesi, specialmente Gaston Paris e Paul Meiyer, nel tempo che fu a perfeziona11s,ia Parigi. Furono allora, tra i venti e i trent'annit vere « orgi~ di studio ll, come ricordano ì suoi frateHi, ai quali, ri– masti orfani, fu veramente un secondo padre : con cosi eccezionale risultato di lavori scientifici che ebbe giovani,ssimo una catfodra unive.r– ~ita,ria, a Genova. Non è il caso di ricordar qui i contributi da lui portati in quegli anni agli studi di filologia neolatina, spaziando dalla nostra letteratura dei primi secoli alla portoghese, alla castigliana, alla provenzale. La parola «contributi>> (Beitriige) lo avrebbe fatto sorridere, come propria di quella concezione positivistica della filologia, contro cui dal 1900 in qua. s' era messo a, reagire. La verità è che di quei contributi egli stesso era giustamente orgoglioso, specie dinanzi al recente pullulare d'improvvisati saggi estetici. Erano i ~uoi titoli di no)Jiltà; ché a, una vitale opera di ricostruzione non perviene, com'egli diceva, se non chi è capace di ricerche storiche e filologiche personali. Si vantava per– ciò di appartenere a una generazione che in queste ricerche aveva fatto buone prove con un amore alla verità che poteva magari « diventare dedizione di schiavo>>. Non in lui, certo, neppure durante il fervido noviziato filologico. Il suo Colombo, scritto in quegli anni, è formida– bilmente documentato, e si legge tuttavia col piacere vivo-di un romanzo. Accanto all'armonioso volume che non arriva a quattrocento pagine c'è la monumentale edizione critica e diplomatica degli scritti di Colombo, per approntar la quale egli dimorò a lungo in Ispagna. BibliotecaGino Bianco
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