Pègaso - anno I - n. 7 - luglio 1929
Ricordo di Cesare de Loll-is 101 rughiana,, Esuberanza, sensualità, selvaggeria, ch'egli aveva poi disci– plinate, ma non spente, e che tralucevano dalla, sua conversazione, come tralucono talora dalla, sua prosa, sia che descriva, la, natura o l'umanità, sia che analizzi l'opera, d'arte: vi è in questa prosa una, corpulenza, che si potrebbe documentare con un elenco de' suoi aggettivi o delle sue n_ietafore: una, rapida statistica, proverebbe, per esempio, che l'agget– tivo «appetitoso» ricorre ne.Ila, prosa del De Lollis con la, stessa, fre– quenza, con cui l'aggettivo « lumineux » nella, prosa, di Maurras. Ma con lo Scarfoglio, ch'egli ebbe a, definire « il più grande giornalista, e uno dei più forti prosatori che l'Italia, contemporanea abbia, avuto», il De Lol– lis era d'accordo nel lamentare che la, faunesca, sensualità del D' Annun– zio fosse sboccata, nell'estetismo e nel decadentismo. Umanista vero, sen– tiva che quelli eran gli sbocchi funesti della sensualità non disciplinata. E nel saggio su Ovidio e Orazio dimostrò con l'esempio di Ovidio, senza mai sconfinare dalla, pura, critica, letteraria, la triste fatalità di questo. processo. 11 De Lollis non fu insensibile alle tentazioni del giornalismo, che pur praticò in qualche periodo della sua, vita e solo per forza di volontà potè conoentrarsi negli studi e reprimere ogni istinto centrifugo. Lo aiutarono a, ciò il suo nobile padre e i suoi maestri Francesco d'Ovidio ed Ernesto Monaci. Suo padre: un uomo di condizione modesta, che aveva, vissuto fa– cendo il precettore in case patrizie e solo dopo l'annessione delle Due Sicilie era salito un po' più in alto nella scala sociale, fino al grado di provveditore agli studi. Nutrito di letture classiche, dai Latini al Leo– pardi, filosofo ontologista, amico di Bertrando e Silvio Spaventa (que– st'ultimo lo aveva voluto intimo collaboratore al Ministero degl'Interni), di Ma-riano d' Ayala, del Settembrini, del Villari e di altri uomini rappresentativi del liberalismo meridionale, appartenne a, quella fa– miglia, di umanisti di cui il Pnoti fu il rappresentante più insigne. Col suo occhio esperto, Alceste de Lollis aveva indovinato la « stoffa » del figliolo e in un suo zibaldonE>, dove notava le impressioni quotidiane, scriveva,: « Questo r agazzo (Cesare) ha un'indole, direi, selvaggia: egli non vuole accosta.re nessuno, eppure è tanto intelligente. n E il padre, seo-uendo quella ped agogia, che il cuore detta, dissodava via via quel ri~co terre-no e vi gettava il buon seme. Erano lunghe passeggiate in campagna,, durante le quali il giovinetto imparò, senza rendersene conto, « a sentir l'opera dei poeti come immediata espressione di una vita superiormente vissuta che dall'opera, loro noi siam tratti a rivivere.» Cosi egli stesso, ricordando con tenerezza quel suo primo _epiù _effic3:c~ maestro. Documento di quel tempo resta un sonetto, scritto di sedici o diciassette anni per la mamma, nel quale, alfiereggiando e foscoleg– giando, il giovinetto fa il proprio ritratto mo.ral~. Eccone. le quartine, non senza, cavicchi, ma pur non senza efficacia mtrospettlva,: ~ mio costume alta portar la testa, E scabro e duro ho un po' l'umor, confesso: Mi riguardasse in viso il re, il re stesso Non m'imporrebbe un'aria più modesta. BibliotecaGino Bianco
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