Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929
720 U. Fracchia Questa resistenza estrema costò ancora la vita a quattro dei miei soldati: e ,già, incominciava a sbiancar la 111otte quamdo, esaurite le munizioni, lo vedemmo a un tratto sollevare la sua mitragliatrice e scaraventarla nel fiume. Poi, scavalcato il monticello, ci venne in– contro ,senza alzare le braccia. Era un uomo piuttosto piccolo di statura e grasso, con la testa rasa secondo l'ultima moda tedesca, cioè con un solo ciuffetto di capelli corti e piatti sulla fronte, due piccoli baffi neri sotto ìl naso, e si avvicinava barcollando con una certa grazia, come i clowns quando fanno gli ubriachi. La parte sinistra del suo viso grondava sangue e perciò egli carrn,minava con il oapo e le spalle un· ,po' piega,ti in avanti, come se temesse di insudiciarsi ta giubba. Dovetti amdargli rapidamente incontro per proteggerlo dai miei soldati che già gli correvamo addosso coo i pu– gnali, e a stento riuscii a salvarlo da una morte sicu,ra. Quando lo ebbi fra le mie braocia, mentre lo frugavo per vedere ise mai tenesse nruscosta un'arma, con stupore mi accorsi che non poteva avere meno di cinquant' an111i. << - Tenente Michele Horvath ? - gli domandai. cc - Signor si, signor capitano, - mi rispose in perfetto ita– liano, battendo i talloni e irrigidendosi nella posizione d'iaittenti. cc Gli stavo bendando alla meglio con uno straccio la fronte fe– rita. Non potei fare a meno di sorridere del suo accento e della sua posa. cc - Come sta Nice ? - gli chiesi ancora. ' << - Ah, bene, grazie, ,signor c,apitano, - mi rispose, spalan– candomi in viso gli occhi che erano rotondi e alquanto sporgenti, come quelli delle rane : occhi di miope, scuri. cc Lo condussi dove erano già raggruppati gli altri prigionieri e, dimenticandomi subito di lui, volli fare il bilancio• di quella sca– raimuccia. Il mio sergente aveva già frugato i cespugli, contato i morti, i feriti, i prigionie1·i. Eravamo in settanta su quel palmo di . terra : ma udite come. Dodici erano i loro morti, quindici i nostri, più un ferito grave che morì poco dopo, portando il totale dei morti a ventotto. I prigionieri erano diciannove, di cui tre o quattro feriti leg,gieri. Noi ci ritrovammo in diciotto uomini validi, più tre feriti leggieri. Non dimenticherò mai l'alba di quel giorno 27 ottobre. In una luce veramente funerea, sotto un cielo di piombo, tra due acque livide, tutti infangati seminudi e pieni di freddo, noi raccogliemmo i nostri morti, essi i loro, approfittando di quell'ultimo velo di cre– puscolo, e li allineammo in una specie di radura sabbiosa fra i cespugli. Standomene seduto in una buca tutta disseminata di bos– soli e di cartucce, io vedevo il tenente Horvath sorvegliare il triste lavoro dei su oi uom ini. Dico ora triste. Allora non provavo che indifferenza e teéj.io , e questi sono i sentimenti del soldato dinanzi alla morte alt rui, qu ando non vi si mescoli la paura. Solo quello BibliotecaGino Bianco
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