Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929
La casa 683 prepara nei figli. E le pareti della casa diventano per questa pas– sione più vaste del più vasto orizzonte. 1t di li che si muove, è lì che si vorrebbe sempre tornare. Per riassumere in sé tutta la propria vità, bisogna andare a ritrovare nelle stanze della casa i passi, le voci, le preghiere, le lacrime, i sospiri che il tempo vi ha accumulato e che niente può disperdere. Tutto si riconosce, si risente e si risoffre in certe occasioni. Può es– s~re una forza che esalta, come riprendere in un momento tutto il sangue che s'è perso lungo la vita, ma anche una pericolosa de– bolezza. Quando, nel luglio 1916, fui destinato con altri ufficiali del bat– taglione a partire per il fronte, chiesi una licenza di poche ore per rivedere i miei. Pensavo di salutarli mentalmente, di dir loro addio soltanto con l'animo, perché, specie con mio padre, non sapevo se il cuore mi avrebbe retto a confessare la verità. Lo trovai per caso e ci sedemmo a un caffè, dove inventai una scusa qualunque per giusti:qcare la visita improvvisa. Parlavo con disinvoltura, cercando di non posar gli occhi sopra la sua testa bianca, perché il pensiero della sua inconsapevolezza e della sua solitudine mi dava pena. A un certo momento ho accennato al– l'eventualità che anche la mia classe potesse esser mandata lassù, dove per l'offensiva austriaca nel Trentino, pareva che fosse nr– gente il bisogno di ufficiali. Il babbo alzò gli occhi sorpreso. - Se lo dici per darti aria, starò zitto, per quanto non mi sem– bri l'ora di scherzare, ma per la tua classe, dormi, dormi fra due guanciali. Quando sarà chiamata, vedrai che la guerra è finita da. un pezzo. Si alzò da sedere sbuffando, pagò e, con una scrollata di spalle, già s'avviava. Io che lo conosco e so che s'arrabbia anche quanào si commuove, lo raggiunsi e lo pregai d'accompagn,armi a casa, dove avevo un oggetto da prendere. Non volle darmi la chiave, come avrei voluto, per rivedere da solo le miè stanze e fuggir via, magari correndo, magari piang:endo, perché già sentivo farmisi grave il respiro. Eo·li mi precedeva. Aveva aperto. Passato il cortile già flaliva i gradi~i per entrare nell'androne oscuro. Non c'era nel cortile che un chiarore, a,ppena, tra grandi lamine d'ombra. M'è venuto fatto d'alzar o-liocchi e ho visto, come da un abisso, il cielo altissimo con due o tr: stelle gelide, bianche. Nel gesto m'è tornato fulmineo, su dal profondo, il ricordo d'un altro sguardo in una triste ~era lon– tana· lo stesso che, riportato verso terra, scoperse nel lastrico tante gocc~ di cera e orme fitte di passi, mentre le narici asipiravano l'acre odore delle torcie fumose. iblloteca Gino Bianco
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