Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929
La casa 691 ralisi lo inchioda per anni sulla rpoltrona. Il figlio, per prima cosa, piange, poi chiama il muratore e gli sciorina questo rre,ambolo : Il babbo, come sapete, aveva certi gusti in fatto di costruzioni. ... Io, quando son nato, mi ci son trovato subito bene in casa mia. Tutto mi pareva bello e, rpiù che altro, le stanze, dove non si andava che in certe occasioni. Le donne che mi mandavano via per affret– tarsi a chiudere, perché quello non era rposto da bambini, mi la– sciavan gli occhi abbacinati dall'oro delle cornici, dei tavoli inta– gliati, delle poltrone, dallo scintillio delle lumiere e, nell'anima, un senso cupido e goloso di quella ricchezza intraveduta e Rubito som– mersa nell'ombra cupa dei cortinaggi. Mi rimaneva nelle narici un odore di fiori appassiti, di stoffe inviolate, di polvere di tarlo e di naftalina; l'indefinibile aroma della stanza chiusa dove neJ silenzio tutte le cose respirano, dove le signore lasciano il profumo della rpelliccia, e sorrisi, v,oci, imagini di persone morte, perdute, "lon– tane rimangono fissate con una rparvenzà di fa.ntasimi. - La mia mamma ha un salotto tutto rosso e oro, - dicevo ai miei compagni co111 aria di falsa indifferenza. - Un altro giallino, un altro .... violino, un altro turchiniccio, - motteggiava qualcuno. Ma, se trovavo chi mi stava, buono e umiliato, a sentire, allora, infierivo sul misero e non c'era palazzo che reggesse al paragone del mio.· In realtà mi credevo ricco, privilegiato, felice come tutti i figli di quelle famiglie che si limitano a serbare mobW e quadri ere– ditati; stoffe e suppellettili preziose, ma non avrebbero più i denari per ricomprarle. Finché reggono, bene; quando non reggono più, via, dall'anti– quario o dal rigattiere. Cambiando i tempi e, coi tempi, la fortuna degli uomini, molta roba ha infilato il portone di casa e non s'è più rivista. Era, o mi pareva, la più bella. Allora mi sono sentito, im– provvisamente, molto infelice. E anche a chi non me lo chiedeva e non poteva accorgersene, spiegavo che li c'era un bel quadro, là un bel mobile, che quel salotto non era più niente e bisognava averlo visto prima, c~me io lo vedevo, come sempre l'avrei visto. Sempre. . Tutto quello che è un. mutamento o un trl!lpasso rpare di dover– selo caricare sulle spalle, come una soma e trascinarlo tutta Ja vita. Le ferite c)le si ricevono nel cuore sembrano taglienti e pro– fonde e ·non lo sono che per umiliare, nel confronto, quando arri– verà il dolore vero; quello che piega verso terra, se pure _non sarà, superato da un altro, perché è destino che si debba procedere così, nella vita frustati e bendati, attirati e delusi. Un gi~rno che vidi partire un bel letto antico, avrei pianto se non m'avesse consolato un po' la certezza che il baldacchino rosso ibhotecaGino Bianco
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