Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

688 C. Tumiati Stretta appoggiata al suo braccio s'è lasciata condurre come un cane all'abbaino. Lungo il tragitto s'è fermata a sputare nei cortili, ha strapipato un ciuffo d'erba secca, s'è messa in bocca un !Pezzo di vetro. Dietro l'abbaino, due infermiere l'hanno afferrata. - Il gelato, eh? ricordati! - Stasera .... si.. .. si.. .. Ma adesso un bagnetto caldo, vedrai che ti fa bene. IL FABBRO. ' . Nella fucina dell'ospedale lavorano in tre. In un angolo, sotto la :finestra, un piccolo alcoolista dal naso tuttora paonazzo sul viso di carta, una barbetta castana, un fiore all'occhiello prepara una gabbietta di ferro per i topi bianchi. Que– sta dei topi bianchi è - dopo il rosso vino - la 'Sua più accesa passione. Ne ha ammaestrati quattro e li ha tenuti finora in una vecchia scatola di legno. Ieri la femmina ne ha ipartoriti sei: l'ometto è raggiante. Ce li mostra: piccoli rosati pelosi come boz– zoli e li accarezza con cura paterna ricoprendoli in fretta con un fazzoletto sudicio. Sotto il mantice stanno gli altri due : un uomo e un ragazzo. L'uomo è alto, ossuto, col volto scarno e corrucciato: qualcosa di solenne e di sprezzante in tutta la persona. Il ragazzo è un imbecille strabico in perenne sorriso ed in perenne movimento. - Evviva! Siamo amici? - chiede venendoci incontro. Riceve una carezza e s'allontana col solito ritornello: « Non se ne parla più!)) - Soffia. Si spegne, - intima l'uomo al ragazzo. Questi corre al mantice e lo agita con furia sregolata. Le scintille fuggono stizzose dal braciere. L'uomo ossuto inarca le braccia in attesa. Il ferro è quasi rosso ; egli scosta il ragazzo, afferra la sipranga con le tenaglie, la solleva dal fuoco quasi ini - ziasse un rito poi la posa con dolcezza - rossa e vibrante - sul– l'incudine grigia. - Martello, - chiede. Lo stolto glielo tende ridendo. La mano dura e ipesante lo afferra. «Scostati)), dice un'oc– chiata. Il ragazzo si rintana in un angolo. È solo, ora. E l'officina sembra angusta alla sua persona ed alla sua collera. Un riso amaro gli corre tra gli occhi e la bocca; la fronte s'incide d'una ruga di tormento. Tutt'uno col suo delirio che una monca logica gli fa parer verità e che le voci imperiose da lui solo udite gl'impongono d'accettare fino alla morte e fino alla Biblioteca Gino Bianco

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