Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

Giuseppe Pat·ini cere che dà la lirica graJ11dissima, ispirata, che vien dal profondo ; ma il piacere lento di qualcosa che sempre ti richiama, e ti fa mera– vigliare, al modo come diç,e, oltre che a quel che dli.ce.Una poesia dell'orecchio, dunque? No. Una poesia pensata, ma da ascoltare con « orecchio placato », « mente arguta», e « cor gentile» : proprio come è stata scritta, scritta per esser detta. Leggete ora A la Musa) e questo Parini secoodo 1110n vi spiacerà più. Quasi al ·termine della vita si direbbe ch'egli volesse lasciare di sé qui la più durevole immagine, che graJ11deggiafin dalle prime note, appunto per quel– l'aria impersonale, e per quel tono e suono saldo dli parole che al– lontaJ11a ogni risentimento. Gli ultimi versi am.cora :finiscono ora– zianamente, quasi a i111dicaredi dove gli veniva l'ispirazione a cantare così, e il modo schietto. Perché di affermazioni altere sul– l'ufficio della poesia, e di sdegnosi giudizi sull'età corrotta, nelle odi precedenti ve llle son tante, filllo in quelle giovanili, nella Li– bertà campestre e lllella Salubrità deWaria) e, tutte drammatica– mente mosse e commosse, nella Caduta (per questo a molti piace più, ,perché è costume dei molti cercare il grandioso più del grande, e non amar le parole povere nelle quali il più delle volte le verità grandi veramente soo ·riconoscibili); ma·chi vuol leggere qualcosa che gli prepari il gusto a quest'ode testamentaria, non ha che da aprire, ,per fermarsi a pochi versi soli, l'Innesto del vaiuolo («Tale il nobile plettro infra le dita Mi profeteggia armon'ioso e dolce ecc.»), o la Laurea (« .... Allor d'a le segrete Sedi del mio pensiero escono i versi ecc.»), o la Recita dei versi (« Orecchio ama placato La musa, e mente arguta, e cor gentile ecc.))), o la Grati– tudine («Lungi, o profaini. Io d'importuna lode Vile mai non apersi Cambio ecc.))). Son modi minori certo, .più piani, ma quelli che meglio si 00111facevanoall'indole del ParÌllli, e al suo calmo do1110 di poeta. È questo il livello oraziaino, si dirà. •Ma anche pa– riniano. Da Orazio soo tradotte le immagini più belle, come quasi sempre del resto in tutte l'altre odi, ma qui coo più sapore, e con un'autorità che gli veniva dalla lunga vita. In Orazio egli s'era rioonosciuto, ,prima d'averlo preso a solo maestro di stile. Ed è per questo che anche solo traducendo, lllon tradusse come fece, ad esempio, Ulll-Monti. Non ebbe il Parini il dono divino del Petrarca, d'innalzare i modellì che ricalcò. (Erano però quelli i poeti « pri– mitivi)). Ma tradusse anche da Virgilio, coo animo virgÌllleo). N'ebbe 1ID altro, non certo grande così. Non quello del Monti, che s'è detto, il quale traducendo faceva sentir la traduzione, il tra– vasamento, e sempre lllll che di provvisorio, che non filllisce mai di contentare, senza fermezza né assolutezza;· ma quello di tradurre con :finissimo Ìllltelletto, e con :fi111issimo sorriso, ch'era la certezza d'aver sempre colto il segno giusto. E poi, 3Jllcora, Monti tradusse da tutti, Parini da uno solo, da Orazio; e a traverso Orazio risenti B.ibhoteca Gino Bianco I

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