Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

A. P ANZINI, I giorni del sole e del grano 767 traduce in atto il vecchio sogno d'acquistare per sé un po' di terra al– quanto lungi dalla linea ferrata e dai villini. « Spesso ho sognato di le– varmi nel mattino già luminoso, - scriveva nella Lanterna, - e in cambio dei libri e della penna ho sognato di prendere il rastrello e la forbice del potatore.>> Ora la campagna -è divenuta un bene più suo che non fosse per l'innanzi ed egli ci s'è voluto centrare più decisamente che mai con un libro tutto agresto, per il quale ha messo in serbo il titolo forse più gioioso e luminoso di tutti quelli delle sue copertine. È il momento georgico. Nel frattempo Panzini ha sentito la tentazione irresi– stibile di rivedere e dare alle stampe una sua fatica giovanile: la tradu– zione delle Opere e i giorni di Esiodo. Georgico, ma non idillico. L'au– tore del Padrone sono me sa intendere e apprezzare al loro giusto valore gl'insegnamenti e i doni deJla vita campestre, ma non si fa. certo illu– sioni sui sentimenti della rustica progenie che lo circonda. Non rica– scherà, già lui nell'equivoco di mettere in iscena una umanità dolciata come quella dei poemetti rustici del romagnolo di San Mauro. C'è un contadino di Pascoli che fa la dichiarazione d'amore alla ragazza con queste parole : Tu sei l'anima mia, sei la mia vita. Battere, il cuore, senza il tuo, non osa più. Respiriamo con la bocca Ulllita ! Apriti alfi.ne, o IIIliobocciò! di rosa! e tutti e due poi s'incantano a sentire l'usignolo né più né meno che . due pe.rsonaggi d'alto borbo dannunziano. Mentre i complimenti d'amore che si scambiano i contadini di Panzini sono di questo tenore: « Che morissi avvelenata. Brutta biondaccia, vien aquè ». Né quei suoi con– tadini « si fermeranno mai ad ascoltare i cantanti uccellini dei boschi se non per veder modo di prenderli e mangiarli. >>E tutto questo senza intenzione di sarcasmo o di caricatura, ché anzi si sente benissimo che mei,so fra i due mondi, quello cittadino con le sue melate attenzioni e quello rustico con le sue fiere sgarberie, Panzini accetterebbe con sincero entusiasmo di viver nel secondo. Bellissime pagine, respiranti tutte un'acre sanità rurale, sono in questo libro quelle sulla trebbiatura, sulla secca, sul sonno dei contadini, sulla bella aratrice, sul pasto dei contadini (messo a paragone con quello dei signori), sul cane e cento altre. Naturalmente, anche nella hotte di ferro della sua retraite campestre (ho cercato per iscrupolo questa pa– rola nel Dizionario moderno dello .stesso Panzini e mi si consiglierebbe di usare la parola ristretto ; è un po' troppo !) vengono a visitare il nostro caro moralista tentazioni e pe11fidiemondane. Panzini non sarebbe più Panzini se non trovasse modo di seguitare a cascare da.Ile nuvole sempre per colpa di quelle benedette chiome alla garçonne e di quelle non meno benedette sottane sopra il ginocchio. Ma questa volta glie la mandiamo buona anche più volentieri delle altre, perché talora gli accade, il maldestro!, di farci capire che stava per perdere, finalmente!, Ja testa anche lui. Dice a un certo punto d'una ragazza moderna: « Omne gui– dava bene quella raga.zza! Ohe felicità potrebb'essere per un uomo dire: 'bliotecaGino Bianco

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