Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

. 762 I. SICILIANO, Il Teatro di P.irandello, ecc . E qui è possibile che il lettore desideri magari conoscere quello che pensiamo, su questa disputa, anche noi. Ma noi ci siam trat~enuti _a lungo, anche recentemente, altrove, nel riassumer quel che andiamo_ di– cendo, da un decennio in qua, dell'ideologia pirandelliana; e una ripe– tizione, o un'autocitazione, ci pa,rrebbero ugualmente presuntuose e inoppor tune. R icorderemo solta.nto che, dal primo giorno in cui ci parve d'aver trova.to il bandolo dell'intricata matassa, la nostra opinione è rimasta la stes sa: Pirandello è « lo straziato poeta del soggettivismo e della relatività, ossia di questo nostro sciagurato tempo, che ha perduto la, fe de in una realtà, in una verità oggettiva», conoscibile, comunica-– bi.le .... Di qui si intende « come tutte l e sue crea ture gli assumano, tra le m ani, quell'aspetto di fantocci che recita.no una. parte, anzi tante parti in una volta. Di qui deriva, quel che in ess e avvertiamo d'ingrato, cli scheletrico e d'aspro; e quella sua desolazione d'umorista atroce, alla quale con tanto stento abbiamo dovuto assuefarci. » Parole ormai vec– chie, ché son del 1921. Ma dunque, nelle sue ore buone, poeta. Ed è qui dove, a parer no– stro, lo studio del Siciliano è manchevole : nel separare così nettamen~e, come ha l'aria di fare, l'arte di Pirandello (ch'egli riconosce, con pa,.. role entusiastiche, di prim'ordine) dalla sua filosofia, condannata senz'al– tro come un'intrusa. È possibile immaginare una tale separazione ? un .Pirandello senza personaggi arzigogolanti, senza casi complicati, senza atmosfera bassa e feroce ? un Pirandello rappresentatore veristico di certa piccola borghesia, e basta ? Huona o cattiva che sia (qui non ne discutiamo), la filosofia di .Pirandello non è, nell'arte sua, un di più: è la sua stessa essenza. A giudicar d'un poeta è, meglio che legittimo, indispensabile, muover dall'ideologia che può trovarsi alla base dell'arte sua; e, da un punto di vista etico, si può accettarla o no, confutarla o semplicemente rifiu-. tarla. Ma, qua.ndo si passi al giudizio estetico, quel che bisogna consi– derare è se su codesta filosofia - e non ce n'è una, neanche la più sbal– lata, la quale non contenga in sé un elemento di verità umana; altri– menti, su che si terrebbe in piedi? - il poeta sia riuscito a fare squil– lare, liricamente, la sua, nota. È riuscito a questo, nelle sue ·scene più famose, Pirandello? Sofista, dicono; ma non c'è in lui, a dividerlo net– tamente dal frigido gioco dei sofisti, un'angoscia, una disperazione, una nausea della vita inutile e vacua, che nei momenti supremi de' suoi drammi migliori l'ha.o condotto alle soglie della tragedia ? È o non è,• .Pirandello, l'interprete drammatico d'un'ora d'atroce disfacimento spi– rituale? A queste domande il .Siciliano avrebbe dovuto rispondere; e non ha risposto. L'osservazione sua più intelligente, genia.le , e nuova, è la scoperta che, al fondo del nichilismo di Pirandello , c'è u na intima, no– stalgica accettazione e glorificazione della morale tradizionale, comune, eterna; di quella bontà che tutti, anche negandola a parole, ricono– sciamo. In tale accettazione è la condanna della sua filosofia; ma è, anche, l'umanità dell'arte sua. SILVIO o' AMICO. BibliotecaGino Bianco

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