Pègaso - anno I - n. 6 - giugno 1929

752 G. Pasquali e cosi perenne come l'Italia, ora almeno non ci sia; gli aedi del Pian degli Ontani cantavano a volte in un gergo che a, noi puzza di stantio e di accademico. Sarà mai stato altrimenti? I carmi omerici non sono uni, come torna a credere un irrazionalismo quanto mistico altrettanto sciocco, ma non sono neppure poesia popolare. Anche qui arte popolare vale arte rimasta addietro. Non è altri– menti delle mode contadinesche, che riproducono fogge signorili di età passate. Come ancor oggi qualche vecchio artigiano porta il ferraiolo, cosi io credo di essere buon profeta, presagendo fin d'ora che l'abito sport sarà tra dieci anni caratteristica esclusiva dei giovani contadini che vogliono essere eleganti : i barrocciai giovani, che vedo passare sul Lungarno sotto le mie finestre, lo portano quasi senz'eccezione. Si dirà: i maggiori pittori del Trecento e del Rinascimento furono artigiani, spesso artigiani figlioli di contadini e di mandriani. È vero, ma essi non fecero opere grandi, se non quando, usciti dai volghi, co– nobbero una tradizione che popolare, e volgare non si potrebbe dire in nessun caso. La storia degli artisti è tutt'uno con quella della borghesia cittadina d'Italia; questa sino a ieri, sino a oggi, e anzi più rapidamente nei travagliati anni dell'immediato dopoguerra si rinsangua e rinno– vella continuamente di genti nuove venute di campagna, salite dai me– stieri meccanici. Ma storia degli artisti non è storia dell'arte, se non in quanto gli artisti mostrino nel creare una freschezza di sentire che vien loro dalla vicinanza della loro stirpe alla terra: cosi e non più. E dagli studi moderni anche la linguistica esce spogliata <lcl nimbo romantico, che sino a pochi anni or sono la vestiva tutta. Il fondo della lingua ,è, si, impersonale e anonimo; ma, tranne che un popolo assuma tutt'intero una lingua nuova, le immutazioni partono sempre da un pic– colo gruppo, anzi, in ultima analisi, da una persona. Anche qui la scienza nuova restituisce· la personalità nei suoi diritti, dei quali una concezione romantica l'aveva spogliata in favore del popolo. E cosi la mancanza di una parola unica per folklore nella nostra lingua, per la quale certi stranieri ci guardano dall'alto in basso, si rivela un pregio, piuttosto che un difetto; il vocabolo comprensivo di altre lingue ha giovato solo, mi pare, a confondere concetti distinti. Lo studio della letteratura popolare rientra nella filologia 'e non può essere praticato se non da filologi addestrati criticamente; il folklore linguistico è linguistica senz'altri epiteti; la storia dell'arte contadina sarà sempre storia dell'arte, per buona parte storia delle fortune e delle trasformazioni di un'arte superiore calata nelle classi inferiori della società. Voglio con questo pronunziare sentenza di morte contro il folklore e i folcloristi ? Anzi io auguro all'uno e agli altri vita rigogliosa; ma non potranno averla, se l'uno e gli altri non vivranno in maniera conforme alla loro natura. Mi pare caratteristico della tradi– zione popolare il contenere indiscriminati uno accanto all'altro elementi provenienti da età diversissime. I più nel nostro vecchio paese appar– terranno alla storia, forse alla storia più recente, e questi vanno inda– gati con i metodi propri delle scienze storiche; indagati, non idola– trati. Ma restano usi e riti, che risalgono a età non storiche ma preisto– riche, che non si possono tanto documentare con testimonianze antiche, quanto rincalzare e spiegare con analogie di popoli selvaggi. C'è un BibliotecaGino Bianco

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