Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
520 Lettere di Alessandro Manzoni a Niccolò Tommaseo impresa dalla quale uscirei alla meglio a voce, e aiutandomi Lei; ma in iscritto 1I1on IIle saprei uscire neppure alla peggio. Non dU1I1que per soddisfare al suo desiderio, ma per darle prova della mia volontà di ubbidirle, Le accennerò sommessivissimamente qualche dubbio, e tanto più sommessivamente, in quanto non conosco la prefazione, nella quale saraamo probabilmente sciolti innanzi tratto. Temo adunque che alcUIIle delle distinzioni di significato ch'Ella fa tra vocabolo e vocabolo, le quali rappresentano distinziòni vere e molto fine d'idee, non si trovino di fatto, almeno con quella precisione e sicurezza e costanza, nella accezione dei vocaboli me– desimi. 'ranto più che Ella si fonda spesso su gli scrittori; gli esempi dei quali (e questa è una mia opiniOIIleparticolare dell3i quale Ella tenga quel conto che vuole) vorrebbero essere, generalmente e fuor che in alcuni casi speciali, posti appunto come esempi a mostrare la forza del vocabolo, non addotti come prova, come autorità a stabilire che la forza del vocabolo è tale, se non quandlo fossero in gran numero e tutti colilcordi. [Qui seguono) nell'iautografo) alcitne ri_qhe cancellate 1 .] (Perdolili questo sgorbio all'angustia del tempo, e lo abbia in prova del mio impaccio a dire su questa materia qual– cosa di -preciso in poche parole.) Uno o due scrittori sono, parti– colarmente nella nostra lingua, meno atti (colla debita riverenza) a far testimonio del valore d'una parola, per quella 1I1ostrasingolare prerogativa di avere e di tenere egualmente per autorevoli, scrittori che hanno vissuto nello spazio d!i cinque secoli, di avere per con– seguenza un tribunale più eterogeneo, più contraddittorio, più mu– tabile che, m'immagino, nessun'altra lingua. Meno poi degli altri mi paiono atti a ciò i poeti, i quali sovente tanto poco si curano della pr,oprietà dei vocaboli, che la sagrificano non solo alla neces– sità della rima e del metro, ma al capriocio di parlare diversamente dal parlar comune, e preferiscono talvolta il vocabolo che esprime una idea affine al vocabolo che esprime l'idea propria, per la sola avversione a servirsi di q~esto. rMa dlove fondarsi ? Un latino del secolo d'Augusto avrebbe risposto, un francese risponderebbe: sul– l'Uso. Ottimamente pei latini e pei francesi; ma l'uso è egli da noi cosi riconoscibile, così riconosciuto come presso di loro ? Così fosse, come non è; ma pure (e in questo cr,edo esser d'accordo con Lei) quest'uso (,quale e qurunto egli si sia) ha presso di noi, come era ed è di loro, una sede; e chi vi dimora, chi sa interroo-arlo come Lei io credo che, 1I1elpiù dei casi, possa ottenerne una 0 rispost·a fra.né ~ e decisa. · . 1 ) Ave'.'a scrit:o: « nel qual caso, dall'altra parte-, non ci sarebbe più bisogno <11 prova, <11 autontà; la cosa non domanderebbe che d'essere accennata, giacché l'uso che fosse generale degli scrittori non sarebbe soltanto di loro, sarebbe uso generale.» BibliotecaGinq Bianco
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