Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929

516 T. Lodi l'impossibilità di sceve rare in essi il vero dall'immaginario e di con– ciliare l' « assentimep.to storico» con l' « assentimento poetico » (per la tragedia s torica egli riconoscerà che gl'inconvenienti sono meno fre– quenti e meno sensibili, perché con la rappresentazione drammatica la storia ha soltanto una relazione estrinseca: « nella tragedia è sempre la poesia che pa,rla: la storia se ne sta materialmente di fuori»). Ma tutto il suo ragionamento, condotto con stretto rigore logico, si fonda su una falsa premessa, presupponendo la necessità di un doppio as– sentimento là dove basta l'assentimento poetico~ e giudicando inevi– tabile o una confusione o una distinzione dei due elementi, lo storico e l'immaginario, mentre essi possono fondersi armonicamente nell'opera d'arte: e ;il suo romanzo ne è il più bell'esempio. In questa lettera egli confessa candidamente, per quel che riguarda simili componime,~ti, << d'aver perduto la bussola affatto»; ma la sua convinzione è già ben salda e il principio è enunciato qui quasi con le stesse parole del Discorso: egli ritiene « che l'assunto stesso del genere sia contradittorio, sia il tentativo non riuscibile di dare una forma unka a, due materie necessariamente disformi ». Se non che, con l'ammettere che coùesti componimenti c;i sia modo e modo di f~rli e che possano esser fatti anche ottimamente, cioè siano artisticamente perfetti, viene ad affacciare quella che è l'obiezione più forte alla sua teoria,. Del dramma del Tommaseo, poco o nulla sappiamo; ma forse non tutti sanno che, tra le molte e svariate esperienze del fecondo scrittore, quella del teatro non tiene l'ultimo posto : basti dire che il suo primo tentativo lo fece a dodici anni: a diciotto, « alfieriano ragazzo», ideò una Serniramide, ma non andò più in là del primo soliloquio; scrisse poi un'Ifigenia, e a vent'a,nni due atti di un Caino, e a ventidue una, Sposa di Messina. Il dramma mandato al Manzoni è indubbiamente quello di cui così scriveva all'amico Antonio Marinovich il 30 gennaio del '33: « Ho fatto una gita, sulle montagne pistoiesi, amenissima :' e quivi scrissi la prima parte di certi dialoghi (non li voglio chiamare scene, molto men dramma, molto meno tragedia,, per non mi far fracassare dai legislatori del dramma e della tragedia) che hanno per titolo I Nobili e la Plebe, dalla storia di Brescia», Se ne conosce soltanto il coro, pub– blicato per la prima volta nelle Confessioni col titolo Odio ed amore, « intermezzo di dramma tratto dalla storia di Brescia: nel quart'atto muoiono i due giovani amanti, egli patrizio, ella del popolo, già fatti miseri dalle discordie cittadine». I versi sono belli, e.non senza qualche eco e reminiscenza dei cori manzoniani : Gino Capponi, pure notan– dovi troppa varietà di metri, e passaggi un po' crudi, li metteva tra i versi migliori del 'l'ommaseo'. Il Manzoni non tocca del coro, che forse piacque anche a lui ; ma ha l'impressione che tutti i personaggi abbian troppo ingegno, e parlino troppo, e troppo bene. Anche senza conoscere il dramma, sii sente che vi sono colti con finezza quei difetti medesimi che il Croce nota nel romanzo Fede e Bellezza, e dal più al meno in tutti i libri del lette– ratissimo Tommaseo : difetti di composizione e soprattutto d'intona– zione. E si ripensa a quella « parola sa,piente ~ che al Tommaseo aveva BibliotecaGino Bianco

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